Un mercato che già vale a livello globale 2,5 miliardi di dollari con la prospettiva di raddoppiare nei prossimi dieci anni a un tasso di crescita annuo del 10% contro invece l’andamento piatto previsto per i vini convenzionali. Un fortissimo interesse da parte del mondo produttivo visto che a un recente sondaggio effettuato dall’Unione italiana vini ben il 60% dei produttori interpellati ha risposto di guardare con interesse alla prospettiva di produrre vini no alcohol o low alcohol ma una produzione che per il momento, in Italia, resta ferma al palo.
Si perché nonostante il provvedimento varato dal ministro Lollobrigida nello scorso dicembre che ha autorizzato la produzione di vini NoLo e che è stato accolto con grande soddisfazione da parte del mondo produttivo, poi passare davvero dalle leggi ai fatti risulta spesso molto complicato. Sono infatti ancora tante le incertezze che attanagliano il settore.
La denuncia, in apertura del Vinitaly, viene dall’Unione italiana vini organizzazione dei produttori e dei commercianti di vino fin dal primo momento molto impegnata sulla frontiera dei vini a bassa gradazione alcolica. L’Uiv proprio a Vinitaly ha organizzato un incontro sulle prospettive e i vincoli del settore dei vini senz’alcol o a bassa gradazione.
«Al momento ci sono almeno due ordini di problemi – spiega il segretario generale dell’Unione italiana vini, Paolo Castelletti -: da un lato ci sono alcuni aspetti controversi del decreto del ministro Lollobrigida e dall’altro c’è l’intera questione dell’inquadramento fiscale sul quale si registrano “fughe in avanti” da parte del ministero dell’Economia che certo non aiutano ad avere davanti un quadro definito».
In particolare – spiegano all’Uiv – il decreto Masaf del 20 dicembre 2024 lascia sul tavolo due problemi: da un lato la previsione della separazione degli spazi all’interno delle aziende tra quelli dedicati alla produzione di vini tout court e quelli invece destinati alla produzione di vini NoLo (si veda altro articolo in pagina). E dall’altro il previsto divieto di detenere all’interno locali in cui si producono vini a bassa gradazione o del tutto senz’alcol, anidride carbonica. O meglio non si possono produrre spumanti dealcolati negli stessi locali nei quali si producono spumanti convenzionali”. ”Almeno su questo secondo punto – aggiunge Castelletti – si potrebbe far riferimento alla norma del Testo Unico del vino che disciplina gli ‘stabilimenti promiscui’ ovvero quelli nei quali si producono bevande aromatizzate a base vino e nei quali è consentito detenere anidride carbonica. Gli spazi dedicati alla produzione di vini dealcolati potrebbero essere assimilati a quelli sciogliendo così il nodo”.