L’obiettivo di Giorgia Meloni è quello di riuscire ad andare a dama. Significa ottenere quel Commissario di serie “a” e che abbia anche un incarico di vice-presidente di Commissione. Spetta all’Italia come paese fondatore dell’Europa ma anche come Paese che rappresenta sessanta milioni di abitanti. A pesare, però, è lo strappo sulle nomine dei top jobs da parte delle famiglie europee (Ppe, Socialisti e Liberali) che rappresentano la maggioranza di Ursula von der leyen. Ma a guardar bene le cose, sembrano esserci due destini incrociati perché a Giorgia serve Ursula quanto almeno Giorgia potrebbe essere utile ad Ursula. Intanto l’emissario che fa la funzione di cerniera tra l’Italia e l’Europa è Antonio Tajani. Lui, ministro degli Esteri e popolare, confida ancora che quel 18 luglio, Meloni scelga di votare von der leyen, così come farà lui e gli europarlamentari eletti da Forza Italia. 

I rapporti tra Meloni e von der Leyen sono buoni. Buoni a tal punto che il Pd ha guardato non proprio di buon occhio lo slancio della Presidente di Commissione all’accordo sugli immigrati che la premier italiana ha siglato con l’Albania, facendolo diventare quasi una best practice delle politiche comunitarie sulla questione. Dunque Meloni confida che dalla stessa Presidente nuovamente nominata ma, nei fatti, ancora non eletta a capo dell’Europa, ci sia quel segnale sul Commissario europeo di alto livello per l’Italia.

 

ANSA

Giorgia Meloni e von der Leyen a Lampedusa

Perchè Giorgia Meloni e FdI sono utili a Von der Leyen?

Von der leyen si trova ad un bivio. La sua maggioranza si tiene su 399 deputati europei. In un parlamento in cui i franchi tiratori non sono mai pochi, è un numero a rischio. Già cinque anni fa, con un maggior numero di “suoi” parlamentari – sebbene fra essi ci fossero anche gli ungheresi – raccolse 383 voti, solo 9 in più della soglia necessaria (374). All’epoca furono in 75 della sua maggioranza a votarle contro.
Né, Ursula, può provare ad allargarsi ai verdi (i liberali se ne andrebbero) né può contrattare un ingresso in maggioranza di Ecr poiché a salutarla, a quel punto, sarebbero i socialisti.Allora la pattuglia dei meloniani nel parlamento europeo sarebbe manna dal cielo.

 

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen saluta dopo il suo discorso al congresso del PPE a Bucarest, in Romania, 7 marzo 2024 ap

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen saluta dopo il suo discorso al congresso del PPE a Bucarest, in Romania, 7 marzo 2024

Le preoccupazioni di Giorgia Meloni

E qui sta il bivio della Meloni. Mai la doppia maglietta di Premier e Presidente del gruppo dei Conservatori fu più scomoda. Restare fedele al gruppo di cui è presidente significherebbe penalizzare – se Tajani non ottiene nulla – il proprio Paese. Se i suoi scegliessero di votare von der Leyen in modo formale, il mondo complicato di Ecr che vive la concorrenza con gli ormai altri due gruppi della destra europea, entrerebbe in crisi e accuserebbe Meloni di difendere gli interessi del suo Paese a scapito di un nuovo progetto europeo.

Ansa

Giorgia Meloni durante una relazione al Senato in vista del vertice UE, Roma, Italia, 26/06/2024

Quali strategie?

La presidente di Commissione uscente, e in pectore, sarà quindi chiamata a un grande esercizio di equilibrismo sui temi più caldi, dall’immigrazione all’approccio al green deal. E in base “ai contenuti del suo programma”, oltre che a quel “riconoscimento del ruolo”, l’astensione dell’Italia in consiglio potrebbe anche cambiare all’eurocamera e diventare un sì. Un sì sul programma, soprattutto, che a quel punto potrebbe essere digerito dai Conservatori.  Ma la strategia di Meloni, assicura chi in queste ora ha incrociato la premier, sarà appunto decisa più in là. “Fino al 18 non succede niente”, sintetizza un alto dirigente di Fratelli d’Italia. Poi se il bis sarà confermato si aprirà un certo tipo di scenario. Se von der Leyen dovesse invece saltare (per mano del “fuoco amico” dei popolari, dicono anche in casa socialista), sarebbe il “caos”, c’è consapevolezza sia nella maggioranza sia nell’opposizione italiana. Difficile, si valuta a Roma, che si possano aprire le porte a un tecnico, visto che le altre cariche di vertice hanno avuto una chiara assegnazione politica e il Ppe non rinuncerebbe in ogni caso a quella casella. Per ora, comunque, si tratta di aspettare. I contatti proseguono e proseguiranno, dietro le quinte, man mano che ci si avvicinerà al d-day. 

AFP

Parlamento Europeo

La scelta dei Commissari legata al risultato elettorale francese

Nel frattempo, si guarda con un certo interesse al voto per le legislative francesi, dal quale Emmanuel Macron potrebbe uscire ammaccato e con una “coabitazione” con la destra di Marine le Pen, che, tra le altre cose, rimetterebbe in discussione sia il nome francese da indicare per la commissione (l’inquilino dell’Eliseo vorrebbe ripresentare Thierry Breton), sia il portafoglio da affidargli. Proprio sul fronte della commissione, quindi, “le opzioni sono tutte sul tavolo”. Perché, ricordano i meloniani, la presidente dovrà scegliere come distribuire le deleghe e le vicepresidenze. Potrebbero essere di più o di meno dell’ultima legislatura, spiega chi è avvezzo alle dinamiche europee, e la carica esecutiva potrebbe esserci o anche non esserci. In questo contesto si muove l’Italia, puntando a quel “commissario di serie a”, con un portafoglio economico “di peso”, indicato da Tajani. L’identikit continua a rispondere al nome di Raffaele Fitto

AP

Macron in conferenza stampa sceglie di sciogliere l’Assemblea Nazionale dopo la sconfitta alle elezioni Europee. Oggi la Francia al voto

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