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Home » Trattenere i talenti più difficile, in un’azienda di 100 addetti il turn over costa 200mila euro all’anno
Finanza

Trattenere i talenti più difficile, in un’azienda di 100 addetti il turn over costa 200mila euro all’anno

Sala NotizieBy Sala Notizie17 Aprile 20255 Mins Read
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Trattenere i talenti è sempre più difficile tra stipendi che non crescono secondo le aspettative delle persone e manager che gestiscono i team secondo logiche sorpassate, più basate sul controllo e sulle gerarchie che sulla delega e sul raggiungimento degli obiettivi. E’ così che l’Italia è finita in fondo alla classifica nel rapporto internazionale European workforce study 2025 di Great place to work per la capacità di trattenere le persone che è stato realizzato sentendo le opinioni di 25mila collaboratori in 19 Paesi. Ma attenzione, il tema non va sottovalutato, avverte Beniamino Bedusa, Presidente di Great Place to Work Italia, perché «i costi nascosti del turnover aumentano le inefficienze delle organizzazioni».

Quanto costano le dimissioni

Sulla base di una simulazione svolta da Great Place to Work Italia, un’azienda italiana di circa 100 collaboratori con un tasso di turnover pari al 10%, che è il valore medio per le organizzazioni attive nel Nord Italia, dovrà affrontare circa 200mila euro di costi annui attribuibili all’uscita delle persone. «I costi nascosti del turnover sono tra i costi più difficili da identificare per le aziende, ma sono proprio quelli che aumentano le inefficienze delle organizzazioni a causa delle risorse spese nella selezione, nella formazione e nell’attesa che il nuovo collaboratore raggiunga le performance del dimissionario – spiega Bedusa, Presidente di Great Place to Work Italia –. Una buona strategia di employer branding, basata sul feedback diretto delle persone, riduce i costi di assunzione e di turnover, fenomeni in deciso aumento, soprattutto nelle nuove generazioni. Lavorare sull’ascolto attivo e sul coinvolgimento delle persone, come avviene attraverso la nostra survey Great Place to Work, genera un impatto diretto sull’orgoglio e sul senso di appartenenza dei collaboratori, elementi fondamentali per costruire una cultura aziendale solida, attrattiva e sostenibile nel tempo».

Chi vuole dimettersi

E’ emerso che in Italia, in media sono ben 4 su 10 i dipendenti che dicono di voler cambiare lavoro nel corso dell’anno: un dato di ben 9 punti più alto rispetto alla media europea che è del 31%. Questo è vero soprattutto per la Generazione Z, l’ultima arrivata nel mercato del lavoro che ha aspettative più elevate nei confronti dei leader aziendali ed è più propensa ad andarsene se non vengono soddisfatte. A livello europeo, i paesi che hanno le maggiori difficoltà a trattenere le persone sono quelli dell’Europa meridionale tra cui ci sono Italia, Francia, Portogallo, Cipro e Grecia, oltre a Regno Unito, Irlanda e Polonia. Francia e Polonia hanno entrambe un tasso del 38%, il Portogallo del 37%, l’Irlanda del 35%, mentre a seguire ci sono Cipro, Grecia e Regno Unito al 33%. Tra i paesi più virtuosi sul tema della retention ci sono invece la Norvegia, con solo un lavoratore su 4 (25%) che vorrebbe andarsene dal proprio ambiente di lavoro, Paesi Bassi e Germania al 23%, mentre l’Austria si attesta al 21%.

Le differenze tra generazioni

Se poi si allarga l’analisi alle generazioni la GenZ, nella fascia d’età compresa tra i 18 e i 24 anni, fa registrare la percentuale più alta (40%) tra coloro che dichiarano di voler cambiare ambiente di lavoro. I dipendenti più giovani, infatti, hanno aspettative più elevate nei confronti dei manager e dei leader aziendali e sono dunque più propensi a cercare nuove opportunità professionali nel caso le promesse del management non vengano rispettate. La voglia di cambiare posto di lavoro decresce con l’avanzare dell’età: sono infatti il 36% i dipendenti e i manager di prima linea che hanno tra i 25 e i 34 anni a dire di voler cercare un nuovo lavoro nel corso dell’anno, percentuale che scende al 30% tra chi ha tra i 35 e i 44 anni, al 28% nella fascia d’età tra i 45 e i 54 anni fino al 25% registrato tra gli over 55. La fidelizzazione dei dipendenti è un problema reale e molto sentito tra le organizzazioni europee tant’è che è in cima alle agende dei responsabili delle risorse umane delle aziende. Nonostante questo però gli sforzi e gli investimenti per fidelizzare le persone chiedono un approccio di medio lungo periodo per evitare un costoso turnover dei cosiddetti top performer.

Le 8 leve delle organizzazioni

Tra le leve principali che oggi hanno le organizzazioni per trattenere le persone ci sono le modalità di lavoro ibride, che prevedono un mix equilibrato tra la presenza in ufficio e lo smartworking e sono tra le principali leve strategiche per il miglioramento della fidelizzazione dei dipendenti delle organizzazioni. I lavoratori ibridi, infatti, secondo il report European Workforce Study 2025 di Great Place to Work, hanno meno probabilità di lasciare il lavoro: meno di un lavoratore ibrido su 4 (24%) dichiara di voler cercare un nuovo posto di lavoro, rispetto al 34% di chi lavora in sede e il 37% di chi lo fa a distanza. Un vantaggio competitivo concreto che vale soprattutto per le realtà attive nei settori tecnologia, finanza e servizi professionali, dove i collaboratori possono scegliere la modalità di lavoro e quando lo fanno, in quasi 6 casi su 10 (57%), scelgono l’ibrido. In molti settori, come la vendita al dettaglio, l’ospitalità e la produzione, i dipendenti infatti non possono scegliere lo smart working. Tra le leve indicate dagli esperti di Great Place to Work Italia, per favorire la retention delle persone ce ne sono 8 a cui prestare particolare attenzione. La prima riguarda l’equilibrio vita lavoro, la seconda lo stipendio che deve essere adeguato, la terza i benefit e i riconoscimenti, poi la fiducia tra i manager e i collaboratori, la rimozione delle barriere, l’avanzamento di carriera, la formazione e policy di smart working attrattive.

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