Il prossimo rinnovo del contratto di lavoro delle telecomunicazioni sarà tra i meno facili della storia del settore: in parte per l’impatto della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale, in parte per il nodo ricavi in continua flessione, in parte la scelta della separazione delle reti dai servizi, che si sta concretizzando sia in Tim che in WindTre . «La scelta intrapresa da Tim non potrà che accentuare la tendenza ad essere un mercato di mera rivendita di servizi sempre più standardizzati – osserva il segretario nazionale della Slc Cgil, Riccardo Saccone -. Occorrebbe invece avere un’idea vincente: progettare da subito una nuova stagione delle telecomunicazioni puntando seriamente su innovazione tecnologica ed industria. Migliaia di valide professionalità rischiano di essere a rischio di obsolescenza tecnologica, quando non di essere sostituite dal ricorso all’intelligenza artificiale».
L’allargamento dell’area contrattuale
Il contratto del settore è scaduto da oltre un anno, ma la piattaforma sindacale è da poco passata dagli iter di approvazione e potrà così essere presentata ad Asstel. I sindacati confederali, Fistel, Slc e Uilcom che la hanno elaborata, hanno fatto scelte molto innovative, lavorando anche per un allargamento dell’area contrattuale, «con il riconoscimento del contratto tlc come contratto di riferimento nei call center che offrono servizi di customer relationship management (CRM) e business process outsourcing (BPO) dove ci sono forme più avanzate di intelligenza artificiale, con maggior rischio di obsolescenza tecnologica e di conseguenza con rischi forti di esuberi strutturali», avverte il segretario generale della Fistel Cisl, Alessandro Faraoni. Secondo quanto spiegano i sindacati nella piattaforma «in questi anni molto è stato fatto nel comparto per raggiungere una stabilità lavorativa, ma i processi legati alla digitalizzazione impongono ancora uno sforzo aggiuntivo per reindustrializzarlo. I volumi generalmente in calo e l’abbassamento del valore di parte del lavoro mettono seriamente a rischio la tenuta di molti player del settore. Una logica esclusivamente “difensiva” non risolve i problemi e, soprattutto, è sempre meno sostenibile per i lavoratori interessati». Strumenti di “politiche attive” come il “Fondo nuove competenze” affiancate al “Fondo di settore” saranno indispensabili, anche se andranno affiancati a un forte “patto di sistema”, per permettere la massima ri-occupabilità possibile delle lavoratrici e dei lavoratori. Anche per questo «occorre aprire urgentemente un ragionamento sui perimetri contrattuali e sulla certificazione delle aziende che forniscono servizi CRM/BPO. Il settore si è sviluppato in un contesto nel quale la stragrande maggioranza dei committenti appartenevano al comparto delle TLC. Oggi il quadro delle quote di mercato è totalmente cambiato».
La proliferazione di diversi contratti nel settore
I sindacati osservano che le tlc oggi rappresentano meno del 50% del mercato della filiera, il resto è costituito da servizi legati al mondo delle Utility (elettricità, gas, acqua), a quello bancario, ai servizi più in generale e in prospettiva, di pari passo con la digitalizzazione, ai servizi della PA centrale e locale. «Troppi contratti diversi dal TLC stanno introducendo vincoli di appartenenza anche per il lavoro terziarizzato, per non parlare dei contratti “pirata” nati con l’unico scopo di abbassare diritti e salario. Se a questo aggiungiamo l’impatto delle nuove tecnologie è chiaro che qualsiasi ragionamento sul futuro del CRM, e non solo, non potrà prescindere dall’affrontare questa dinamica partendo dal riconoscimento da parte del Ministero del Lavoro del CCNL delle TLC quale contratto di riferimento per le attività di CRM BPO», si legge nel documento.
Riduzione orario e smart working strutturale
Al tavolo negoziale con Asstel, i sindacati porteranno la discussione sullo smart-working, da rendere strutturale, e sulla riduzione dell’orario, a parità di salario. Come si legge nel documento sindacale, «dall’agosto del 2020 il settore delle tlc ha saputo reagire interpretando, fra i primi, le potenzialità della remotizzazione di emergenza anche in una prospettiva post pandemica. Ad oggi la stragrande maggioranza delle aziende del settore hanno sottoscritto accordi con i sindacati a tutti i livelli organizzativi che sanciscono diritti e regole condivise per forme di lavoro “ibride/miste”, che contemplino diversi gradi di autonomia e remotizzazione con la presenza fisica sui luoghi di lavoro». Proprio per questo, per Slc, Fistel e Uilcom, «con questa rinnovazione contrattuale deve aprirsi una fase che conduca verso un nuovo modello organizzativo che, partendo dalle singole realtà produttive, possa portare l’intero settore in un nuovo paradigma, in grado di cogliere appieno le opportunità della rivoluzione digitale, non solo con la finalità di una migliore conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro, ma, forse soprattutto, alla ricerca di una dimensione lavorativa capace sempre di più di far emergere l’autonomia dei lavoratori, in contesti lavorativi sempre più professionali ed organizzati al raggiungimento degli obiettivi. Va, pertanto, superata la fase della sperimentazione rendendo strutturali gli accordi di smart-working, respingendo spinte anacronistiche di ritorno al passato».
La centralità della formazione
Il settore delle Telecomunicazioni si trova davanti a molteplici e complesse trasformazioni tecnologiche e digitali. È questa una fase di profondo cambiamento, in cui serve l’impegno a garantire la massima occupabilità attraverso un profondo intervento di aggiornamento e, spesso, vero e proprio cambiamento delle professionalità e dei lavori. «Tutto questo passa attraverso un impegno formativo che dovrà essere senza precedenti – scrivono i sindacati -. Con l’accordo sul “Fondo di settore” e con il rifinanziamento di strumenti di politica attiva del lavoro quali il “Fondo nuove competenze” si potranno garantire parte degli interventi necessari. Ma non basta. Non siamo più in una fase dove occorre garantire del mero “aggiornamento professionale”, ma sono necessarie politiche formative più corpose e solide che possano garantire significativi avanzamenti delle competenze alle lavoratrici e lavoratori e, contestualmente, riscontri alle stesse aziende. Tutto ciò non può che passare da azioni di reskilling e upskilling alle quali dovranno seguire puntuali certificazioni di questi percorsi formativi.La formazione è certamente uno dei temi centrali e fondamentali del rinnovo».