“Per quanto attiene a quell’episodio in particolare, di quasi venti anni fa, Emiliano non ricorda bene. E’ certamente vero che lui mi diede tutto il suo sostegno, davanti alle proteste di buona parte del quartiere, quando iniziammo a chiudere Bari Vecchia alle auto, ma non sono mai andato in nessuna casa di nessuna sorella”. Lo ha specificato il sindaco Antonio Decaro, riferendosi alle parole dette dal presidente Michele Emiliano, che ieri sul palco della manifestazione “Giù le mani da Bari”, ha raccontato di un episodio in cui avrebbe accompagnato l’attuale sindaco a casa della sorella del boss Antonio Capriati.
Emiliano ha raccontato che Decaro, “bianco come un cencio”, un giorno bussò alla sua porta, quando il governatore era sindaco di Bari, e racconta che era stato a piazza San Pietro, a Bari, e qualcuno gli avrebbe puntato una “pistola dietro la schiena” mentre stava facendo sopralluoghi per la Ztl a Bari vecchia. “Io lo presi, in due andammo a casa della sorella di Antonio Capriati, che era il boss di quel quartiere, e io gli andai a dire ‘vedi che questo ingegnere è assessore mio, deve lavorare, perché qui c’è il pericolo che i bambini possano essere investiti dalle macchine, quindi se ha bisogno di bere, se ha bisogno di assistenza, te lo affido'”. Il governatore ha aggiunto che a pochi mesi dall’episodio il Comune di Bari effettuò degli sgomberi proprio nelle case dei Capriati “che erano state confiscate a piazza San Pietro”. Di lì “cominciò un cammino nel quale abbiamo aiutato queste persone nel desiderio di cambiare vita”.
Lo stesso Emiliano, dopo la bufera scatenata sui giornali e le accuse arrivate dal mondo del centrodestra sulle parole pronunciate, in una nota ha spiegato come abbia “raccontato un fatto realmente avvenuto quando chiudemmo al traffico Bari Vecchia. E di fronte ad un episodio nel quale avevano invitato il mio assessore ad andarsene dai luoghi dove stava lavorando, andai di persona dalla sorella incensurata del boss Antonio Capriati, che avevo arrestato e fatto rinviare a giudizio e poi condannare per omicidio, per farle capire che le cose erano cambiate, quegli atteggiamenti non erano piu’ tollerati, che potevano rivolgersi all’assessore solo con modi civili ed educati (e qui l’iperbole “te lo affido se ha bisogno di bere, di assistenza”) visto che si trovava lì per svolgere il suo lavoro”. E conclude: “Agii come avrebbe agito un Carabiniere di fronte a un fatto non perfettamente definito che andava stroncato con la autorevolezza della figura del sindaco che senza strepiti risolse ogni problema e mise tranquilli coloro che avevano creato problemi”.