Nairobi (Kenya). Epoche diverse, separate a volte da secoli, ma che convivono nella stessa metropoli. Attraversando Nairobi, capitale del Kenya e fra le città più importanti dell’Africa, accade di passare su autostrade costruite dalla Cina, coi loro caselli scintillanti completamente automatizzati, a fianco ad abitazioni di fortuna che sorgono persino all’ombra dei condomini e dei centri commerciali di lusso. O di poter pagare tutto, dal tassista fino all’affitto, con una app dalla crescita record come M-Pesa mentre per strada i contadini continuano a portare i loro prodotti sui carri trainati da buoi.
Fra le pieghe di questi contrasti, qui come altrove, nascono anche innovazioni. Qui, più che altrove, specie nell’agricoltura. Del resto ci sono 30 milioni di smartphone attivi in un Paese che ha 51 milioni di abitanti e l’80% del territorio è coperto dal 4G. Ci sono poi 10 milioni di contadini che producono, spesso su appezzamenti di piccole dimensioni, più di due terzi di quel che viene consumato nelle tavole del Kenya. L’agricoltura vale il 24% del Pil e rappresenta la metà degli incassi delle esportazioni, tè e caffè in primis, ma usa ancora poco la tecnologia.
“Durante l’infanzia ho visto i danni dei pesticidi, ecco perché sono convinta che si debba cambiare”. Esther Wanjiru, a capo di Farmer Lifeline, lo racconta con un tono pacato che sembra entrarci poco con la sua età. Ventisette anni, cresciuta in una fattoria nel distretto di Nyandarua, ha una laurea in ingegneria informatica e ora tenta di coniugare algoritmi e agricoltura attraverso un sensore gestito dall’IA. “Il primo prototipo è del 2019 − prosegue quando la incontriamo a Nairobi −. Ha una videocamera integrata alimentata da pannelli solari che, grazie all’IA, avverte i coltivatori se le piante hanno malattie o se c’è un problema di altro tipo. Le immagini vengono trasmesse al cloud e lì analizzate in modo da avere un rapporto completo della situazione nel più breve tempo possibile”.
Di sensori ne sono stati piazzati già oltre 2mila per un totale di circa 5mila clienti. Questo perché ogni dispositivo può inquadrare un campo intero, il raggio è di 600 m con una visione a 180°, anche se ospita più colture diverse. In media un sensore viene infatti sfruttato da 3 agricoltori, che così conoscono in tempo reale la situazione e usano prodotti chimici solo quando è strettamente necessario. Il modello è basato sulla sottoscrizione, puntando alle cooperative, che hanno capacità di spesa maggiore. L’apparecchio costa 3 dollari al mese per abbonato e viene assemblato in Giappone, può sembrare strano ma costa meno farlo lì che in Kenya, a un costo di circa 50 dollari. Questo significa che Farmer Lifeline inizia a guadagnare dopo poco più di 5 mesi.
“Stiamo lavorando a un nuovo modello che ha raggio di 1 km con una visione a 360°− aggiunge Esther Wanjiru −. Chi usa i nostri apparecchi aumenta la produttività del 40% e ottiene una riduzione dell’impronta di carbonio grazie alle raccomandazioni che forniamo. Ogni parametro può esser controllato via smartphone Android oppure, se si ha un telefono che non accede alla Rete, inviamo noi una relazione tramite sms”.
Farmer Lifeline, assieme ad altre tre aziende, è stata scelta fra oltre 200 startup da Joule, la scuola di Eni nata nel 2020 per supportare la crescita di imprese sostenibili con percorsi di formazione e programmi di accelerazione. Prende il nome dal fisico ottocentesco inglese James Prescott Joule, al quale si deve l’omonima unità di misura dell’energia, del lavoro meccanico e del calore. Il programma Eni ha varcato i confini nazionali per toccare l’Iraq e il Kenya, visti i legami fra l’azienda italiana di petrolio e gas e i due Paesi. Il Kenya però stava per essere “abbandonato”, perché un nuovo giacimento di gas al largo delle coste, molto promettente sulla carta, non era in realtà sfruttabile. A quel punto a Roma è stato però deciso di puntare sui biocarburanti, che vengono estratti dai prodotti agricoli coltivati in terre aride e semiaride, costruendo un’intera filiera proprio in Kenya.
Per questo la selezione delle quattro startup fatta da Joule ha a che fare con la coltivazione o col riciclo degli scarti alimentari, dai quali a volte si ottiene materia utile sempre nel campo dei carburanti di nuova generazione. “Aiutiamo queste realtà organizzando iniziative di accelerazione con mentor ed esperti così da accompagnarle nello sviluppo tecnologico e del modello di business”, racconta Paola Santilli, trentatré anni, referente Startup Scouting & Idea Evaluation in Eni Joule. Originaria di Pescara, a Milano da quando è maggiorenne, ha alle spalle una laurea alla Bocconi. “In Kenya abbiamo scelto di puntare sulla produzione agricola di semi oleaginosi non in competizione con la filiera agroalimentare, avendo avviato qui il grande progetto legato ai biocarburanti. Delle quattro startup, due si occupano di valorizzazione dello scarto alimentare e altre due del monitoraggio delle coltivazioni. Attualmente stiamo valutando le startup dal punto di vista tecnologico e ci piacerebbe testare le soluzioni in campo”.
Riceveranno 10mila euro in servizi destinati al supporto per lo sviluppo della tecnologia. Nel caso delle due con soluzioni per monitorare le colture, Farmer Lifeline e FarmIt, Eni ad esempio le testerà sui suoi campi. FarmIt è stata fondata da Allan C’oredo, appena 20 anni, e fornisce analisi delle immagini satellitari. Si parte sempre da quei 10 milioni di piccoli coltivatori e dall’ottima copertura delle reti mobili a Nairobi e dintorni. “Usiamo le IA per analizzare le immagini dei campi e fornire previsioni e suggerimenti − spiega −. Lo facciamo in genere via sms o WhatsApp. Si tratta di indicazioni specifiche per ogni singola coltivazione: dal tipo di fertilizzante più indicato alla quantità di acqua necessaria. La sottoscrizione al servizio costa 2.500 scellini l’anno (15 euro circa al cambio attuale, ndr.) e dalle nostre stime riusciamo ad aumentare la produzione del 20% circa. Senza dimenticare che l’agricoltura di precisione aiuta a ridurre i consumi e dunque i costi di almeno il 50%”.
Servizi del genere, basati su dati satellitari, sono ormai comuni, così come gli strumenti connessi alla Rete per controllare lo stato delle piante. Basti pensare al progetto iXemWine del Politecnico di Torino, applicato alle vigne del Monferrato, dove però si impiegano sensori per raccogliere parametri come l’umidità. L’uso della visione artificiale è più raro, anche se Farmer Lifeline non è l’unica ad aver scelto questa strada. Viene in mente ad esempio la britannica V7, cofondata dall’italiano Alberto Rizzoli, che sfrutta gli algoritmi per analizzare le immagini dei campi coltivati, come accade in Kenya. L’esigenza è sempre la stessa: usare la tecnologia per ottimizzare i processi in un mondo sempre più colpito dai cambiamenti climatici.
Forbes Africa di recente ha dedicato un intero numero all’agritech, presentando una serie di startup sulla cresta dell’onda. Fra loro le keniane Ujuzi Kilimo, che in swahili significa “conoscenza agricola”, e Twinga Foods. La prima ha sviluppato uno strumento di analisi del terreno basato su sonde di profondità capaci di rivelare le condizioni dei campi, la seconda ha messo in piedi una rete logistica per trasportare il cibo dalla produzione alla vendita abbattendo sprechi e riducendo i costi. Sprechi che, al pari degli scarti e della loro gestione, sono l’altro campo nel quale si è concentrata Joule.
“Usiamo gli insetti per eliminare i rifiuti organici di qualsiasi tipo: di un allevamento, o quelli prodotti dalle città o dalla produzione industriale degli alimenti”, racconta Rosanne Mwangi, 47 anni, a capo del ramo keniota di The Insectary, terza startup supportata da Eni. “La nostra arma sono le mosche soldato nere, facili da allevare e altamente efficienti nello smaltire i rifiuti organici. A loro volta producono bachi trasformabili in proteine per gli allevamenti o fertilizzanti naturali, creando così un circolo virtuoso che ha durata di circa due settimane dal trattamento degli scarti alla raccolta dei bachi”. Dai rifiuti al contante, recita lo slogan della compagnia. In genere le larve vengono usate direttamente dove sono generati i rifiuti, costruendo una struttura adatta, così da evitare trasporto e discariche.
È la stessa soluzione scelta da Emmanuel Muchule, 23enne fondatore della Korogocho Foodwaste Management, sorta nei pressi del mercato alimentare di un’altra baraccopoli di Nairobi, Korogocho, dove vivono 180mila persone. “Dalle bucce di banana e dai semi degli avocado otteniamo mattoni, da altri rifiuti come il baccelli dei piselli invece mangime per polli e pesci”, spiega con entusiasmo. Una goccia nel mare per ora, ma che potrebbe avere un futuro se riuscirà a consolidare le basi della sua impresa. Vale per lui come per gli altri colleghi che abbiamo incontrato a Nairobi.
In Kenya, a causa di sprechi e inefficienze, una tonnellata di pomodori da industria costa circa 400 euro contro i 150 dell’Italia o i 90 degli Usa. I keniani spendono metà del loro reddito per cibo e bevande contro il 18% degli italiani. Le possibilità di miglioramenti quindi non mancano, ammesso che la nazione non anneghi nei suoi contrasti interni. Pochi giorni dopo la nostra visita, in piazza si sono di nuovo fronteggiate, per usare un eufemismo, l’opposizione guidata a Raila Odinga e le forze dell’ordine che rispondono al presidente William Ruto, in carica da settembre 2022. Quest’ultimo ha promesso di digitalizzare la burocrazia, sostiene di puntare sulla sostenibilità e intende alzare le tasse dal 14 al 18%. Viene però accusato di voler instaurare una dittatura e di un carovita che tocca livelli impossibili.
Di certo usa il pugno di ferro contro chi protesta e ha tolto il divieto di disboscare nelle foreste pubbliche provocando la reazione degli ambientalisti. Gli Stati Uniti sono intervenuti chiedendo un accordo fra Ruto e Odinga. Strada in salita, con gli equilibri interni sempre sul punto di saltare. Nel Paese che aspira a essere il più stabile in Africa e culla di una nuova generazione di aziende ad alta tecnologia, le tante epoche diverse che convivono a fatica sono forse un rischio relativo rispetto alle tensioni della politica.