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Se Papa Francesco parla di reti neurali con ebrei e musulmani

Marzo 24, 2023
nel Tecnologia
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Questo testo fa parte dello Speciale IA di Italian Tech, dal titolo “Parla con me. La nuova era dell’intelligenza artificiale”, in edicola gratuitamente con il quotidiano La Repubblica a partire da giovedì 23 marzo

Un super computer, lo avremmo definito così oggi, portato pezzo per pezzo nel monastero buddista. In mezzo alle montagne himalayane, era stato poi rimontato da due tecnici arrivati dagli Stati Uniti per calcolare tutti i possibili nove milardi di nomi di Dio, come da richiesta dei monaci. Del “Progetto Shangri-La” gli ingegneri americani ignoravano il vero fine, non immaginavano le conseguenze dell’unire profezia e potere delle macchine. Quando Arthur C. Clark pubblicò nel 1953 The Nine Billion Names of God, racconto breve apparso da noi in quella memorabile raccolta intitolata Le meraviglie del possibile, mise in scena quel che potrebbe accadere unendo due cose apparentemente agli antipodi: informatica e religione.
Settanta anni dopo, quella distanza si è ridotta quasi d’improvviso. È accaduto a Roma, in Vaticano, a inizio gennaio. Papa Francesco, nella Sala Clementina del palazzo Apostolico accanto alla basilica di San Pietro, si è messo a parlare di reti neurali: “Siamo tutti consapevoli di quanto l’intelligenza artificiale sia sempre più presente in ogni aspetto della vita quotidiana”, ha spiegato. “Incide sul nostro modo di comprendere il mondo e noi stessi (…). Sono lieto di sapere che volete coinvolgere anche le altre grandi religioni mondiali e gli uomini e le donne di buona volontà affinché l’algoretica, ossia la riflessione etica sull’uso degli algoritmi, sia sempre più presente”.

Algoretica quindi e non i nove miliardi di nomi di Dio, o almeno non ancora. Il Vaticano, e con lui anche Gran Rabbinato d’Israele e i rappresentati religiosi degli Emirati Arabi Uniti, non hanno intenzione di usare ChatGPT e i suoi simili per raggiungere un certo scopo, al contrario intendono di dire la loro per condizionarne lo sviluppo.

“Questa storia nasce attorno al 2017, dall’incontro fra noi, Microsoft e Ibm”, ricorda Paolo Benanti, francescano cresciuto su console e home computer, oggi professore di etica della tecnologia alla Pontificia Università Gregoriana. “Abbiamo capito che avevamo una visione comune e che quindi potevamo unire le forze. Da cosa nasce cosa e così siamo arrivati alla Rome Call for AI Ethics”.
La prima dichiarazione di intenti risale a febbraio del 2020. Sei principi per chi sviluppa IA, sensati ma generici, al punto che si stenta a credere che qualcuno non li voglia o possa sottoscrivere: trasparenza, inclusione, responsabilità, imparzialità, affidabilità, sicurezza e privacy. Al tempo venne firmata dal Vaticano stesso, del Governo italiano, dalla Fao e da alcune grandi multinazionali della tecnologia come appunto Microsoft e Ibm.

Ma la Fondazione vaticana RenAIssance, che ha preso in carico l’operazione con l’arcivescovo Vincenzo Paglia al suo vertice, mira ad altro: creare una grande alleanza fra religioni in tema di intelligenza artificiale. Ed è questo terreno, diplomatico oltre che etico, quello forse più significativo.
Davanti a Papa Francesco, a gennaio 2023 è andato in scena un evento inusuale, con l’adesione del Forum per la Pace di Abu Dhabi e la Commissione per il dialogo interreligioso del Gran Rabbinato di Israele. Abu Dhabi, per quanto influente grazie al suo potere economico, rappresenta solo un piccolo pezzo del mondo musulmano sunnita. La sua presenza però è comunque significativa. Un inizio, al quale potrebbe seguire la sottoscrizione della carta anche di altre anime del sunnismo e magari dello sciismo.  
“Ogni strumento creato dall’uomo è sempre stato controllato dall’uomo”, ha sottolineato Rabbi Eliezer Simcha Weisz, esprimendo così la preoccupazione comune che le IA possano sfuggire a questa legge. Timore sottolineato pochi minuti prima, anche se con altre parole, dallo sceicco Abdallah bin Bayyah, presidente del Forum per la Pace di Abu Dhabi e del Consiglio emiratino per la Shariah Fatwa. Le sfumature evidentemente sono diverse, tutti convengono però sul fatto che bisogna iniziare a mettere dei paletti e che non possono farlo da sole le aziende del settore.

La strada è lunga e piena di incognite. Bisognerà ad esempio mettersi d’accordo su quale metro adottare per giudicare le IA. Secondo alcuni, iniziando dal presidente di Microsoft Brad Smith, l’unica è giudicarle da quel che realizzano. Secondo altri invece è necessario renderle accessibili, aperte, in modo che si possa controllare come sono arrivate a costruire certi contenuti. Ma questo si scontra con la volontà delle aziende hi-tech di difendere ciò che giudicano come una loro proprietà intellettuale. Insomma, ogni possibile regolamentazione avrà ricadute importanti su un mondo che sta fiorendo con una serie di applicazioni che hanno fatto breccia, raggiungendo un pubblico sempre più vasto.
“Servono delle regole per questo settore e serve anche un’etica di fondo”, conclude Benanti. “Sappiamo bene che l’etica da sola non basta, deve essere accompagnata da leggi, dall’autoregolamentazione di chi crea intelligenza artificiale e dalla protezione della privacy. Ma è un elemento chiave dal quale partire”. L’unico possibile per la Chiesa cattolica, alla fine. Perché presto verranno creati tavoli per regolamentare lo sviluppo e l’impiego dell’intelligenza artificiale, e al Vaticano per avere maggior peso hanno prima aperto alle altre religioni monoteiste e a luglio puntano a coinvolgere in Giappone esponenti dello scintoismo e del buddismo, in una tappa in Asia che potrebbe non essere l’unica.
Bisogna solo capire fin dove ci si può spingere con l’etica e con le alleanze. Finché si resta alle dichiarazioni d’intenti, è più facile mettere d’accordo tante anime diverse che hanno visioni distinte di cosa è meglio per l’umanità. Tutt’altra cosa è decidere in concreto cosa è lecito e cosa non lo è. E prima o poi bisognerà arrivarci a quella fase, andando oltre i vari libri bianchi visti fino ad oggi.

Al Jewish Center of the Hamptons, a nord di New York, il rabbino Joshua Franklin, ad esempio, ha chiesto a ChatGPT di scrivere un sermone. Anche se non è come domandare a un calcolatore di stilare la lista dei possibili nove miliardi di nomi di Dio, come ha immaginato Arthur C. Clark, siamo grosso modo su quella strada: usare l’intelligenza artificiale a fini religiosi. Questo solo per dire che, con ogni probabilità, non saranno solo Microsoft o Google che dovranno autoregolamentarsi in fatto di IA.

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