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Perché Taiwan è la chiave del risiko mondiale dei chip

Agosto 3, 2022
nel Tecnologia
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Quando si pensa a Taiwan di solito non si ha una percezione chiara delle sue peculiarità culturali, gastronomiche o industriali, eppure ognuno di noi ne porta sicuramente un pezzo in tasca. I suoi chip sono dentro gli smartphone, i personal computer, gli smartwatch, le smart tv e qualsiasi dispositivo che abbia una componente hardware.

Taiwan è la regina dei semiconduttori: in pratica ospita le più importanti aziende al mondo che sfornano i chip, transistor, diodi e persino dispositivi elettronici completi. Scandagliando le classifiche di Fortune e Forbes si può intuire il peso di questa isola che dista circa 150 chilometri dalla costa cinese e non più di una stretta di mano dalla Silicon Valley. 

Le aziende taiwanesi

Le due aziende taiwanesi tech più famose al mondo sono Asus e Acer, almeno nel segmento consumer. Quando si desidera acquistare un computer desktop, un portatile, un monitor o un accessorio è facile inciampare nel loro marchio. Entrambe valgono insieme più del 16% del mercato mondiale, secondo le ultime rilevazioni di Statista aggiornate al primo trimestre 2022; Lenovo sta al 23% mentre Apple al 9%.

Dopodiché il tema diventa più critico quando si inizia a parlare di TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company), che è la più grande fonderia di semiconduttori del mondo. Ciò vuol dire che rifornisce le grandi aziende (come ad esempio Apple, Qualcomm e Nvidia) di hardware per i cellulari, schede video, computer e qualsiasi altro gadget di oggi e di domani. In questo caso la quota di mercato è del 53% e il concorrente più ostile, Samsung, detiene solo il 16%. E il secondo produttore del mondo? United Microelectronics Corporation (UMC), quindici minuti a piedi dalla sede di TSMC, dato che sono entrambi nell’Hsinchu Science Park.

MediaTek produce chip per sistemi wireless, smart tv, smartphone, tablet, navigatori e tanti altri prodotti sfruttando direttamente il suo marchio. Vanta la leadership nel mercato dei chipset per smartphone con il 38% (Counterpoint Reaserach); seguono Qualcomm (30%) ed Apple (15%). 

Poi c’è Foxconn che ha stabilimenti in tutto il mondo ma il suo quartier generale è nella capitale Taipei. L’azienda produce gli iPad, gli iPhone, i Kindle, le Playstation e qualsiasi altro prodotto di successo possa venire in mente. Di fatto è il più grande “assemblatore/produttore” del mondo con un fatturato di 5.990 miliardi di dollari taiwanesi (circa 200 miliardi di dollari Usa).

Quanta Computer, Pegatron (ex spinoff di Asus), Wistrom (ex spinoff di Acer) e Compal Electronics sono altri produttori chiave per il settore dei portatili e dei dispositivi di elettronica di consumo; ovviamente lavorano per conto terzi, quindi per marchi come Apple, Alphabet, Acer, Lenovo, Dell, Toshiba, Hewlett-Packard e altri.

Infine ci sono specialisti come Delta Electronics, che spicca per i componenti di alimentazione e ha fra i clienti Tesla, e Largan Precision che è leader nella produzione di moduli per obiettivi ottici e componenti optoelettronici impiegati in scanner, fotocamere, proiettori LCD e obiettivi per telefoni (fra cui quelli degli iPhone).

L’occhio di riguardo di Washington

Il peso industriale di Taiwan rende più comprensibile l’incontro di oggi della presidente della Camera statunitense Nancy Pelosi (D-Calif.) con il presidente di TSMC, Mark Liu. Al netto degli attriti diplomatici con la Cina, Washington ha recentemente approvato il cosiddetto Chips and Science Act, ovvero un piano di investimenti da 280 miliardi di dollari per sostenere la produzione, ricerca e progettazione nazionale di semiconduttori. Di questi, ben 52 miliardi di dollari saranno destinati ai produttori, o meglio alle aziende che hanno già stabilimenti negli Stati Uniti o puntano a crearne di nuovi.

E qui entra in gioco TSMC che sebbene in ritardo sulla tempistica programmata sta costruendo una nuova fonderia a Phoenix, in Arizona, che dovrebbe avviare la produzione di chip a 5 nanometri nel 2024, assicurando finalmente agli Stati Uniti la disponibilità di soluzioni all’avanguardia – i top di gamma sono sempre stati realizzati negli stabilimenti TSMC di altri paesi.

Per altro non si esclude che il progetto possa essere ampliato con nuovi siti proprio perché, secondo un’indagine del centro ricerche del Congresso statunitense risalente al 2020, la sola forza militare statunitense richiede 1,9 miliardi di chip all’anno per apparecchiature militari, inclusi i caccia F-35 e i missili Javelin. E poi in effetti il paese non permettersi un’altra crisi dei chip.

Come ha fatto notare Bloomberg però il nodo oggi è trovare un numero adeguato di ingegneri e tecnici. Si stima che il 40% degli specialisti dei semiconduttori siano di provenienza straniera: in pratica arrivano da paesi lontani e poi si formano nelle università statunitensi. Il problema è che l’attuale politica sull’immigrazione rende difficile trattenere i talenti e contemporaneamente le università non sfornano un numero adeguato di laureati con le competenze richieste.

Sempre Bloomberg sottolinea che secondo un recente rapporto di Eightfold AI l’autosufficienza statunitense nella produzione di chip richiederebbe non meno di 300mila professionisti. Con l’attuale assetto si rischia di lasciare alla Cina il 40% del segmento a fronte di un misero nazionale 6%. Ecco spiegata la rinnovata sintonia con Taiwan. Non solo bubble tea.

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