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L’Indy Autonomous Challenge sbarca a Monza

Gennaio 5, 2023
nel Tecnologia
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Las Vegas – Veicoli senza pilota e guidati da algoritmi che sfrecciano velocissimi, mentre si sfidano fino all’ultima curva sullo storico circuito di Monza. Può sembrare fantascienza, e invece è solo la puntuale descrizione di quanto accadrà a metà di quest’anno, dal 16 al 18 giugno, quando l’Indy Autonomous Challenge (IAC), la competizione che dal 2019 vede gareggiare auto da corsa a guida autonoma, arriverà in Italia ospite del MiMo, Il Milano Monza Motor Show.

Lo hanno annunciato il presidente di IAC Paul Mitchell insieme con il presidente di MiMo Andrea Levy al CES di LAS Vegas, la più grande fiera al mondo di elettronica di consumo, dove tra le altre cose il prossimo 7 gennaio si svolgerà proprio una nuova gara tra i bolidi guidati da algoritmi (visibile anche in diretta su Twitch). 

«Noi abbiamo tre obiettivi», ha spiegato Mitchell. «Il primo è far avanzare le tecnologie alla base dei sistemi di assistenza alla guida e per la guida autonoma. Il secondo è scovare e coinvolgere le migliori menti a livello globale, quindi farle collaborare affinché insieme  contribuiscano allo sviluppo dell’IA, dei sensori e di tutto ciò che serve per un’auto autonoma. Infine – conclude il presidente IAC – il nostro terzo obiettivo è conquistare le menti e i cuori dei del grande pubblico, affinché le persone imparino ad avere fiducia in queste tecnologie».

Intanto lo sbarco a Monza rappresenta un passaggio di straordinaria importanza per la competizione: in primo luogo, perché sarà la prima volta che le auto competono non su un circuito ovale, ma «sul tracciato integrale della Formula 1, dove ci sono chicane insidiose, dove le auto accelerano fino 300 all’ora per poi frenare fino a 60 – ricorda invece il presidente di MiMo Andrea Levy – e dove, nella curva parabolica dedicata a Michele Alboreto, le Indy race car possono subire fino a 4g di accelerazione laterale». Una prova, insomma, più difficile e complessa che in passato, e che proprio per questo testimonia il grado di maturazione di queste auto da corsa autonome.   

La competizione in sé, del resto, non è cosa del tutto nuova. La IAC infatti raccogloie l’eredità della DARPA Grand Challenge, gara tra veicoli autonomi creata negli anni ‘00 del duemila dalla Defense Advanced Research Projects Agency: quella stessa agenzia statunitense deputata allo sviluppo delle tecnologie militari, che nei decenni si è distinta per progetti innovativi come ARPANET, la prima rete di computer sviluppata nel 1969 in collaborazione con le università americane.  

 

Sembra tuttavia passata una vita dalla prima Grand Challenge del 2004, quando nessuno dei veicoli iscritti riuscì a fare più di 7 delle 150 miglia previste dal percorso. Niente a che vedere infatti con bolidi autonomi di oggi, che nell’ultima gara del 2021 hanno corso a 300 chilometri orari sulla pista del Texas Motor Speedway: lì a sfidarsi c’erano 21 team di oltre 500 studenti universitari appartenenti a 39 atenei di 11 Paesi. 

E c’era anche tanta Italia: a rappresentarla – peraltro vincendo la competizione per la seconda volta consecutiva – c’era innazitutto il team PoliMOVE del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, guidato dal professor Sergio Savaresi, che da anni si distingue per il suo lavoro nei settori del controllo automobilistico, dei veicoli intelligenti e della smart mobility. E che ad esempio detiene il record mondiale di velocità per un’auto a guida autonoma: 278,4 km/h.

«È la prima volta che la competizione esce dagli Stati Uniti, e anche in questo caso sarà associata a una manifestazione preesistente e capace di richiamare il grande pubblico – spiega Savaresi, anche lui presente al CES – Arriveremo in Italia a Marzo per iniziare a testare le auto anche su circuiti più piccoli». 

Italiane poi sono anche le auto: tutte le racecar autonome sono Dallara e sono tutte uguali, nelle componenti e nel software di base. E italiana è anche Fluidmesh, l’azienda che ha realizzato tutta la tecnologia di comunicazione delle auto, poi acquisita da Cisco nel 2020 proprio per realizzare l’ultimo campionato in Texas.

Ciò che cambia sono gli algoritmi di AI sviluppati da ciascun team, in una competizione che parte dalla velocità dei mezzi, dalla loro capacità di gestirsi in situazione estreme, di amministrare accelerazioni curve e frenate al limite, per culminare nel confronto tra i software più intelligenti.

L’importanza del codice è sottolineata anche dal fatto che, come avviene ad esempio per la competizione di auto elettriche in Formula E, ai team non è permesso fare nessuna modifica meccanica, aerodinamica o al motore, mentre sono uguali per tutte le squadre anche l’elettronica e la sensoristica. 

Una gara automobilistica dove a vincere non è tanto la potenza del motore, quanto quella dell’intelligenza artificiale, e anche poi il terreno ideale su cui mettere alla prova le componenti per valutarne resistenza e affidabilità: «Ciò che facciamo è soprattutto spingere queste tecnologie al limite per vedere come si comportano – conclude infatti Savaresi – quando ad esempio i componenti sono sottoposti a velocità e vibrazioni ben maggiori del solito, o quando il software deve prendere decisioni a 280 chilometri all’ora». Se si comporta bene in quel caso, allora ci sono buone probabilitò che l’AI sia affidabile anche quando l’auto va a 50 km all’ora. 

 

 

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