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Dal wifi ai filtri, le 6 cose più strane dette dai deputati USA al CEO di TikTok

Marzo 25, 2023
nel Tecnologia
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L’audizione davanti al Congresso degli Stati Uniti (più precisamente, davanti al Comitato per l’Energia e il Commercio) del CEO di TikTok, Shou Zi Chew (chi è?), è andata in scena nella serata italiana dello scorso 23 marzo, ma è decisamente ancora un argomento di attualità: se ne parla moltissimo sui siti e sui quotidiani americani ma anche sui social network. Soprattutto su TikTok, ovviamente.

Se ne parla ancora tanto sia per le possibili conseguenze che potrebbe avere sia perché i deputati che hanno interrogato Shou Chew non sono sembrati esattamente preparati sull’argomento: su TikTok, dove l’hashtag #keeptiktok ha già oltre 52 milioni di visualizzazioni, sono tantissimi i video che mostrano alcuni momenti del confronto, facendosi beffe delle curiose curiosità di alcuni esponenti politici.

Di seguito abbiamo raccolto le più divertenti, anche paragonandole a quelle sollevate durante la simile audizione di Mark Zuckerberg ad aprile 2018. Ma prima è utile ricordare perché, Shou Chew è dovuto comparire davanti al Congresso.

Le ragioni della convocazione di TikTok

La preoccupazione principale è relativa alla sicurezza nazionale: il timore (che è lo stesso timore che ha l’Unione europea) è che la cinese ByteDance, che è l’azienda cui fa capo TikTok, potrebbe dare al governo di Pechino un modo per accedere ai dati personali degli oltre 150 milioni di americani che hanno un account sulla piattaforma.

Esattamente come ha fatto l’UE, il governo USA ha vietato ai dipendenti di installare l’app sui loro dispositivi aziendali, così come hanno fatto altro Paesi nel mondo.

Inoltre, ci sono anche timori per il fatto che l’algoritmo che governa TikTok e sceglie che cosa mostrare alle varie persone (un recommender system simile a quello usato da più o meno tutti i social) possa essere usato per promuovere gli obiettivi di politica estera della Cina.

Le altre due ragioni della convocazione di TikTok

Questa è la versione ufficiale, che risale al debutto di TikTok in Occidente ma va in qualche modo ancora più indietro, all’epoca della presidenza Trump.

E però ci sono altri motivi, non esplicitati ma abbastanza evidenti:

  • il risvegliarsi di questi timori arriva in un momento di accresciute tensioni tra Cina e USA, comprensibilmente legate alla situazione internazionale e pure alla guerra in Ucraina, con l’amministrazione Biden che (per esempio) ha annunciato nuove restrizioni per limitare l’accesso della Cina alla tecnologia americana e ha fatto pressioni sui partner internazionali perché facciano lo stesso;

  • da almeno un paio d’anni a questa parte, TikTok è il social in più forte crescita in Occidente, in grado di strappare fette sempre più grandi di mercato alla concorrenza, che si trova a inseguire ed è per la maggior parte composta da aziende americane.

Le cose più strane dette dai deputati a Shou Chew

Al netto di queste considerazioni, ci sono però stati alcuni passaggi dell’udienza che hanno fatto alzare più di un sopracciglio, hanno suscitato (molta) ilarità online e anche hanno fatto dubitare della reale utilità ed efficacia di una convocazione del genere. Di seguito ne elenchiamo alcuni.

La questione del wifi di casa
Impossibile non iniziare da questa: Richard Hudson, deputato della Carolina del Nord, ha chiesto se “TikTok accede alla rete wi-fi domestica”, cui un Chew visibilmente confuso ha risposto che succede “solo se l’utente attiva il wi-fi”. Il deputato ha insistito: “Quindi, se ho l’app TikTok sul mio telefono e il mio telefono è sulla mia rete wi-fi domestica, TikTok accede a quella rete?”. La risposta non ha lasciato spazio a ulteriori repliche: “È necessario accedere alla rete per avere la connessione a Internet”.

L’insistenza su “sì” e “no” e sul concetto di “100% sicuro”
Un altro aspetto apparso evidente è l’insistenza dei deputati per avere una risposta chiara e netta (possibilmente un “sì” o un “no”, come in alcuni passaggi è stato chiesto esplicitamente) anche di fronte a domande estremamente lunghe o complesse, cui sembrava oggettivamente impossibile rispondere solo in modo affermativo o negativo.

Oppure pretendere una certezza assoluta: la deputata Cathy McMorris Rodgers, fra l’altro presidente del Comitato per l’Energia e il Commercio, ha chiesto ripetutamente se “potete garantire al 100% che né TikTok né ByteDance siano in grado di spiare i cittadini americani”. Domanda cui Chew ha replicato nell’unico modo possibile: “Il nostro impegno è quello di proteggere i dati dei cittadini americani da ogni interferenza straniera”.

Questa insistenza si capisce solo ricordandosi che il CEO di TikTok era sotto giuramento durante il colloquio, e che dunque qualsiasi affermazione non vera o non corrispondente al vero (o rivelatasi successivamente non vera) potrebbe portarlo a un’incriminazione per falsa testimonianza.

La questione dei filtri dell’app
Il deputato Buddy Carter ha chiesto se TikTok usi le fotocamere del telefono per identificare i dati del corpo o del viso delle persone, cosa cui Chew ha risposto spiegando che l’app non raccoglie tali informazioni. Con un’unica eccezione: “Lo facciamo per identificare dove sono gli occhi delle persone, se per esempio decidono di usare un filtro per apparire con indosso un paio di occhiali da sole”. Al successivo “Perché avete bisogno di sapere dove sono gli occhi?”, Chew ha fatto capire che è impossibile applicare un paio di occhiali virtuali sugli occhi, se l’app non sa dove stanno fisicamente gli occhi.

Le domande che non erano domande
In uno dei suoi interventi, il deputato Randy Weber (Texas) ha detto che “TikTok sta indottrinando attivamente i nostri figli con propaganda divisiva e in favore del Partito Comunista Cinese”. Poi ha passato la parola ai colleghi.

Video virali che non erano virali
La deputata Kat Cammack (Florida) ha chiesto informazioni su un video commentato da una sola persona: ha mostrato una clip in cui l’autore lasciava intendere di voler in qualche modo impedire l’audizione di Chew, eventualmente anche con un attacco, chiedendo perché il video fosse rimasto online per 41 giorni. Il video aveva un numero di views molto basso e un solo commento, e questo spiega il perché: è possibile che fosse stato messo in ombra dal sistema di moderazione automatico (senza dunque comparire nei Per Te) e dunque non ritenuto pericoloso.

Nel corso dell’udienza, comunque, il video ha iniziato a guadagnare visibilità (probabilmente anche grazie all’intervento della deputata) e poi è stato rimosso.

This TikTok just shown started wracking up comments after it was played at the hearing.

I refreshed the page and all the “they just played this at the hearing comments!” disappeared.

A couple of minutes ago, the account was banned. pic.twitter.com/T6HWekdQ1J

— Dave Jorgenson ?? (@davejorgenson) March 23, 2023

“Non chiamatelo Project Texas”
Molti deputati si sono lamentati del fatto che TikTok abbia deciso di chiamare Project Texas il suo piano per spostare su server posizionati fisicamente in Texas (appunto) tutti i dati degli utenti statunitensi: “Cambiategli nome – ha chiesto il deputato texano August Pfluger – In Texas sosteniamo la libertà e la trasparenza e non vogliamo avere nulla a che fare con questo progetto”.

Quella giornata con Mark Zuckerberg

Come detto, non è la prima volta che l’amministratore delegato di una grande compagnia tecnologica viene chiamato dal governo americano a rispondere del suo operato: in passato accade anche a Sundar Pichai (Google) e Mark Zuckerberg (Meta).

Era il 2018, e anche il co-fondatore di quella che all’epoca si chiamava solo Facebook si sentì rivolgere alcune domande onestamente assurde: Lindsey Graham, senatore della Carolina del Sud, chiese per esempio se “Twitter fa le stesse cose che fate voi”, cui un perplesso Zuckerberg rispose che “quello che fanno si sovrappone in parte con alcune cose che facciamo noi”.

Ancora: il senatore Brian Schatz (Hawaii) chiese se “inviando una mail all’interno di WhatsApp, l’app informa gli inserzionisti pubblicitari”, evidentemente ignaro del fatto che da WhatsApp non si possono mandare messaggi di posta elettronica (Zuckerberg non lo corresse, rispose semplicemente di no). Orrin Hatch, senatore dello Utah, aveva invece chiesto “come vi sostenete economicamente, se gli utenti non pagano per i vostri servizi”, sentendosi rispondere un banale ma efficace “senatore, con la pubblicità”.

Roy Blunt, senatore del Missouri, si limitò invece a dire che “mio figlio è un grande appassionato di Instagram e voleva che lo nominassi mentre ero qui davanti a lei”, come a ricordare che il vero protagonista della giornata era Zuckerberg e non i boomer seduti di fronte a lui. O di fronte a Shou Zi Chew, per tornare all’oggi.

@capoema

 

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