Operatori di telecomunicazione contro piattaforme internet. Lo scenario, che cova sotto la cenere, potrebbe concretizzarsi ora sui costi di utilizzo delle reti.
Il casus belli è la consultazione avviata dall’Authority per le comunicazioni sulle cosiddette Cdn (content delivery networks), reti di distribuzione dei contenuti. Si tratta in sintesi di reti costituite da un insieme di server distribuiti geograficamente, finalizzate a velocizzare e ottimizzare la consegna dei contenuti agli utenti finali. Semplificando, portano i video più vicino agi utenti, con migliore qualità e tempi di attesa ridotti.
Ebbene, l’Authority, replicando quanto fatto qualche anno fa con la piattaforma di contenuti sportivi Dazn, intende estendere l’obbligo di autorizzazione generale, a tutti i fornitori di queste reti e a chi le possiede e le usa in proprio per la distribuzione di contenuti streaming.
Per citare qualche esempio sarebbero interessate compagnie come Amazon, Netflix Paramount Pictures, Akamani, Cloudflare. L’autorizzazione generale costituirebbe la base per poi regolare anche gli accordi commerciali sull’interconnessione tra Telco (come Tim o WindTre per fare solo degli esempi) e piattaforme internet. Per le prime si tratta di una battaglia di equità di fronte all’utilizzo massiccio delle le loro reti, alla stregua di una misura di poltica industriale per l’intero settore alle prese con una dura crisi dei margini. Per le seconde è un modo indiretto per arrivare a un contributo obbligatorio, qualcosa di molto simile al fair share che l’ex commissario europeo Thierry Breton aveva provato senza esito a introdurre in chiave Ue e che l’amministrazione americana di Trump vede come fumo negli occhi. La partita è caldissima e probabilmente ancora aperta. Non è un caso che, a fronte della scadenza della consultazione, ovvero il 14 aprile, l’Authority abbia deciso di concedere alle parti interessate altro tempo per inviare contributi aggiuntivi, fino al 30 aprile.