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Home » Sardegna, batteri e piante autoctone per bonificare terreni inquinati da metalli pesanti
Notizie Locali

Sardegna, batteri e piante autoctone per bonificare terreni inquinati da metalli pesanti

Sala NotizieBy Sala Notizie21 Giugno 20252 Mins Read
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Batteri “buoni” e piante autoctone come l’Elicriso, per bonificare i terreni inquinati da metalli pesanti, residui delle lavorazioni minerarie depositati nel corso degli anni, sino alla fermata delle attività avvenute nella seconda metà del 1900. A prospettare questa soluzione per il sito di Ingurtosu nella Sardegna sud occidentale, e inserito all’interno del Parco Geominerario storico e ambientale (istituzione patrocinata dall’Unesco), è il progetto Return, finanziato dal Pnrr e portato avanti da una collaborazione tra 26 enti e università.

Piante e batteri per la bonifica

Proprio in questo ambito i ricercatori dell’area tematica “Degrado ambientale” dell’Enea stanno sperimentando un processo di bonifica naturale che sfrutta la “collaborazione” tra piante spontanee e batteri nativi del sito.

«Le attività legate all’estrazione mineraria hanno causato un significativo degrado ambientale nell’area di Ingurtosu che è stata per decenni esposta a un forte inquinamento da metalli pesanti come piombo e zinco – sottolinea Chiara Alisi del Laboratorio Tecnologie per la Salvaguardia del Patrimonio Architettonico e Culturale -. In questo contesto, sin dal 2011, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche dell’Università di Cagliari, abbiamo avviato degli studi sui cambiamenti della quantità dei metalli pesanti in relazione alla presenza di piante spontanee e all’attività microbica del suolo, testando anche tecniche di fitorisanamento con microrganismi, e ora stiamo recuperando l’area inquinata sostenendo la crescita di piante di Elicriso, tipiche della zona».

(Copyright immagine: Enea)

Microorganismi e scarti di miniera

Punto di partenza e cuore del progetto è la bioaugmentation, quel processo che «consiste nell’introduzione di ceppi microbici, in questo caso isolati dagli scarti di miniera stessi, per favorire degradazione/trasformazione di elementi inquinanti». Nel caso specifico sono stati introdotti nel suolo “11 ceppi batterici nativi”«protagonisti invisibili, isolati direttamente dagli scarti minerari». Si tratta di microrganismi in grado non solo di sopravvivere in ambienti ad alta concentrazione di metalli pesanti ma anche di produrre sostanze che stimolano la crescita delle piante e migliorano la biodiversità microbica e la qualità del suolo, contribuendo alla stabilizzazione del terreno.

Batteri, piante e metalli pesanti

«I batteri non possono degradare i metalli pesanti, ma possono contribuire ad immobilizzarli e favorire la rigenerazione del terreno – argomenta la ricercatrice -. Le piante, infatti, stentano a crescere in un suolo contaminato. Qui entrano in gioco i batteri, che producono sostanze nutritive permettendo alle piante di attecchire».

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