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Home » Renzi-Calenda insieme in piazza il 6 giugno per Gaza: che cosa c’è dietro il riavvicinamento
Notizie Locali

Renzi-Calenda insieme in piazza il 6 giugno per Gaza: che cosa c’è dietro il riavvicinamento

Sala NotizieBy Sala Notizie30 Maggio 20254 Mins Read
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Una piazza tutta dalla parte dei palestinesi, quella del 7 giugno a Roma organizzata dal Pd di Elly Schlein assieme al M5s di Giuseppe Conte e ad Alleanza Verdi/Sinistra di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, e una contropiazza che tiene conto anche delle ragioni di Israele e che indica il rischio di antisemitismo, quella convocata per il giorno prima a Milano dai centristi di Azione e Italia Viva. Alla quale, confermando che il tema è divisivo anche all’interno del Pd, parteciperanno anche molti big della minoranza dem (da Lorenzo Guerini e Giorgio Gori, da Piero Fassino a Filippo Sensi, da Graziano Delrio a Lia Quartapelle, da Simona Malpezzi e Virginio Merola).

Insieme a Milano contro l’antisemitismo: scoppia la pace tra Renzi e Calenda?

Ma la notizia non è solo la solita divisione del campo largo sui temi internazionali: la manifestazione milanese del 6 giugno sembra segnare un riavvicinamento tra i due eterni amici-nemici del fu Terzo Polo, ossia l’ex premier Matteo Renzi e il suo ex ministro Carlo Calenda. Ed è un riavvicinamento che è stato segnalato ai cronisti proprio da quest’ultimo, il più deciso a suo tempo nel rompere il patto elettorale e scegliere la strada della separazione dei gruppi parlamentari: «Fonti di Azione fanno sapere che ci sono stati contatti diretti tra Calenda e Renzi per organizzare venerdì 6 giugno a Milano una iniziativa comune di condanna dell’azione del governo israeliano e di sensibilizzazione sul pericolo dell’antisemitismo e contro chi professa la distruzione dello Stato di Israele».

Come funziona il Rosatellum: il salvagente dei collegi per i piccoli partiti

Insomma, è scoppiata la pace tra Renzi e Calenda? Non proprio. Non c’è dubbio che sui temi internazionali, così come sul lavoro con il no ai quesiti sul Jobs act al referendum dell’8 e 9 giugno, i due leader centristi siano in sintonia tra di loro e distanti dalla linea di Schlein. Ma il leader di Italia Viva, a differenza di quello di Azione che continua a professare il “terzopolismo” pur essendo all’opposizione, è da mesi in fase di riavvicinamento al partito che ha guidato come segretario dal 2013 al 2018. E Schlein, immortalata con Renzi in un campo di calcio la scorsa estate a suggellare la ripresa del dialogo, ha da allora tenuto la linea del “testardamente unitari” nonostante i ripetuti veti di Conte proprio su Italia Viva. Ma fin qui si è ragionato sulla base della attuale legge elettorale, il Rosatellum, che prevede l’accordo tra partiti in coalizione per le candidature comuni nei collegi uninominali e una soglia del 3% per essere eletti nella parte proporzionale. Il partito di Renzi è quasi sempre poco sotto il 3% nei sondaggi, mentre Azione è poco sopra, ma con l’accordo qualche candidatura sicura nei collegi uninominali è scontata. Ma che cosa accadrebbe se davvero la maggioranza cambiasse la legge elettorale?

Le ipotesi di riforma elettorale e la temuta soglia di sbarramento al 3%

Il pour parler alla Camera e al Senato, che al momento è solo un modo per testare la reazione delle varie forze politiche da parte della premier Giorgia Meloni, ha disegnato un modello chiaro: base proporzionale, senza più collegi uninominali, con premio di maggioranza del 55% dei seggi alla coalizione che supera il 40% dei voti e obbligo di indicare il candidato premier sulla scheda elettorale. E, soprattutto, soglia di sbarramento non inferiore al 3%. E questo significa che, senza più il paracadute dei collegi sostenuti da tutta la coalizione, i centristi – e segnatamente Italia Viva – rischierebbero di restare fuori dal Parlamento.

Per Renzi (e non solo) il rischio di restare fuori dal Parlamento: serve un piano B

Va da sé che Renzi, che non è immune da difetti ma non ha quello della mancanza di intuito politico, ha preso molto sul serio il pour parler dei colleghi della maggioranza. E dunque si lascia tutte le porte aperte, anche quella di una federazione centrista con l’ex nemico Calenda e con altre formazioni che vogliano unirsi per tenere lontana la fatidica soglia (come ad esempio Più Europa). Una soluzione che, superate le vecchie ruggini, metterebbe a ben vedere al sicuro anche la calendiana Azione. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.

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