Le nuove etichette sono state presentate nel Castello di Castagneto Carducci. Ad accogliere gli ospiti il padrone di casa, il Conte Gaddo della Gherardesca, che per i vini ha concesso l’utilizzo del suo nome e di quello della sua storica famiglia toscana. Che tra gli avi più illustri annovera l’Ugolino cantato da Dante, ma anche le contesse che sposarono e portarono a Bolgheri nomi legati al successo del vino italiano nel mondo come Antinori e Incisa della Rocchetta.

Il progetto era però nato già prima del Covid, e proprio all’inizio del lockdown fu predisposta la firma di un contratto di licenza produttiva e distributiva mondiale per i vini “Della Gheradesca”. Una dimostrazione di come le idee per lo sviluppo di Prosit Group fossero chiare fin dalla sua creazione, nel 2018, grazie all’intuizione del ceo Sergio Dagnino (ex Caviro)  e al contributo essenziale in termini di capitali investiti e visione del Made in Italy Fund di Walter Ricciotti.

«L’idea di fondo era ed è unire produttori di eccellenza che rappresentino l’italianità attraverso le loro peculiarità regionali – spiega Dagnino –. Ogni cantina che abbiamo rilevato ha mantenuto la sua identità, con un ruolo attivo dei fondatori che sono i primi wine maker e brand ambassador». Ma il Gruppo è in grado di fornire competenze, servizi e sinergie che permettono di raggiungere una massa critica per essere presenti all’estero con un’offerta completa.

«Prosit esporta oltre il 60% dei suoi vini e non è un caso – sottolinea Dagnino – che le regioni in cui abbiamo deciso di essere presenti sono quelle che registrano più del 70% dell’export nazionale». Qualche regione manca all’appello. «Piemonte e Sicilia senz’altro – anticipa il ceo – probabilmente altro a Nord est. Ci stiamo lavorando, ma mi faccia dire con una punta di orgoglio che ora sono le cantine a cercare noi e non viceversa. L’obiettivo nel 2025, se si concretizzeranno almeno due acquisizioni, è arrivare a 150 milioni di fatturato (dai 78 attuali, ndr) e dare la possibilità di valorizzare gli investimenti fatti a chi ha creduto in quest’impresa mettendoci i propri capitali. Da quando è nata Prosit sono state molte le scosse telluriche sul mercato, dal lockdown al revenge spending, dalle guerre all’inflazione: difficile dunque avere un quadro chiaro di ciò che esprimono i risultati delle singole cantine. Ma difficilmente senza l’integrazione in Prosit avrebbero raggiunto crescite comprese tra il 30 e il 90%. Le nostre scelte continueranno a essere guidate da una precisa strategia che rispetta alcuni criteri. Non possiamo ad esempio non tenere conto degli effetti del cambiamento climatico e quindi cerchiamo vigneti situati sopra i 350 metri di altitudine, dove gli eventi estremi sono più rari».

Si deve poi trattare di cantine aperte all’innovazione. «Sia per quel che riguarda gli aspetti legati al cambio di gusti dei consumatori, con ad esempio i low alcol che possono essere un’opportunità. Sia – argomenta Dagnino – per quel che riguarda le modalità di produzione e cura delle vigne che devono essere sottoposte all’analisi di un team di tecnici ed enologi del gruppo».

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