Vino, olio extravergine d’oliva, pomodori conservati, formaggi freschi: con oltre un miliardo di euro di export nel 2024, per l’agroalimentare made in Italy il Giappone rappresenta oggi il primo mercato asiatico. Un bacino addirittura più pesante di quello cinese, fatto da 122 milioni di consumatori con un Pil pro capite tra i più elevati al mondo. Ecco perché l’Expo di Osaka è un’occasione importante per rafforzare l’immagine dell’Italia in Giappone, ancor più strategica in un momento in cui un altro mercato altospendente, quello degli Stati Uniti, sta al contrario alzando le sue barriere contro l’export made in Italy.
«L’agrifood italiano gode di ottima reputazione in Giappone – dice Gianpaolo Bruno, direttore dell’Ice di Tokyo – il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, è già venuto qui a marzo in occasione di Foodex, la più importante fiera agroalimentare di tutta l’Asia Pacifico. Alla manifestazione hanno partecipato 220 imprese italiane: si tratta della delegazione più numerosa tra tutte quelle straniere presenti alla fiera». Il ministro tornerà in Giappone a giugno, nell’ambito di una missione ampia che partirà da Tokyo e arriverà all’Expo di Osaka in concomitanza con la giornata mondiale dell’ambiente e con quella della sicurezza alimentare.
Nonostante il deprezzamento costante dello yen – cominciato nell’aprile del 2022 – renda più costoso l’export italiano verso il Giappone, nel 2024 le esportazioni italiane di food&wine hanno messo a segno una crescita del 9,9%: «Il prodotto più venduto è il vino – spiga il direttore Bruno – ma il tasso di crescita maggiore l’anno scorso è stato quello dell’olio extravergine di oliva, che ha messo a segno il 55% in più a valore sull’anno precedente. Anche l’export di pomodori conservati è aumentato di oltre il 20%, così come quello dei dolci e del cioccolato, mentre i formaggi sono cresciuti dell’8% grazie soprattutto alle mozzarelle e agli altri prodotti freschi. Quello che interessa ai consumatori giapponesi sono soprattutto i prodotti legati alla dieta mediterranea, perché hanno a che fare col tema della salute, un principio guida tanto delle loro scelte alimentari quanto delle nostre».
Soltanto dieci anni fa l’export agroalimentare italiano diretto a Tokyo incassava meno di 800 milioni di euro: «Gran parte del merito della crescita va senza dubbio al trattato di libero scambio tra la Ue e il Giappone che è entrato in vigore nel 2019 – dice Bruno, a dimostrazione del fatto che le barriere al commercio non giovano a nessuno -. Restano però ancora alcuni ostacoli non tariffari su cui l’Italia sta lavorando per facilitare ulteriormente gli scambi, come per esempio le regolamentazioni troppo stringenti sui salumi o alcuni requisiti di etichettatura obbligatori».
Ostacoli burocratici a parte, sostiene il direttore dell’Ice, il potenziale del mercato giapponese è elevato: «Oltre al segmento salutista, un altro filone promettente è quello dei piatti pronti, dato che i giapponesi sono poco abituati a consumare i propri pasti a casa». Anche la cucina regionale italiana è sempre più apprezzata: «Quella sarda, per esempio, sta riscontrando un successo crescente – dice Bruno – prima era poco conosciuta, ma ultimamente a Tokyo stanno aprendo diversi ristoranti di cucina sarda. Al Foodex di marzo la compagine di imprese dell’isola era particolarmente nutrita e il ministro dell’Agricoltura giapponese è andato a visitare il loro stand per assaggiare il Pecorino romano»