Per il 75% degli intervistati nell’ambito di un sondaggio Ipsos commissionato da Legambiente, Kyoto Club, Conou, Editoriale Nuova Ecologia, ad oggi il nucleare non è una soluzione attuabile e non rappresenta una valida alternativa perché troppo pericoloso e poco conveniente. Il 25% sostiene invece che sia meglio un ritorno al nucleare, data la situazione complessa. I risultati dell’indagine sono stati presentati mercoledì 3 luglio a Roma in occasione della prima giornata dell’XI edizione dell’Ecoforum nazionale. Il governo Meloni punta sul nucleare: nell’ultima versione del Pniecc ha previsto un mix elettrico con una quota di nucleare «di circa l’11% e il 22% al 2050».

Per chi non ritiene che il nucleare sia la soluzione giusta, l’Italia deve fare di più su rinnovabili, economia circolare e lotta alla crisi climatica. Fonti pulite ed economia circolare, è il ragionamento, rappresentano due volani per il Paese permettendo di creare nuovi green jobs: oltre 1 italiano su 2 ritiene che in futuro aumenteranno. Due, poi, le priorità d’azione che emergono in prima battuta dal sondaggio: per il 54% degli intervistati il Governo dovrebbe incentivare la produzione e l’impiego di energie rinnovabili e per sviluppare l’economia circolare; per il 38% le amministrazioni dovrebbero semplificare il processo autorizzativo degli impianti di energie rinnovabili e per sviluppare l’economia circolare.

Per sei intervistati su dieci la crescita dei disastri naturali è dovuto alla crisi climatica

Per quanto riguarda la crisi climatica che avanza, i cittadini sono sempre più consapevoli delle ricadute economiche e degli impatti su territori e salute delle persone. In particolare, per il 61% degli intervistati l’aumento dei disastri naturali è dovuto proprio alla crisi climatica, per il 45% i cambiamenti climatici hanno effetti sul costo della vita in generale, per il 44% determinano un aumento dei costi dei prodotti alimentari, per il 29% un aumento delle malattie croniche, allergie e tolleranze. L’impegno a contrastare la crisi climatica deve vedere in prima fila per il 72% degli intervistati i Governi nazionali, seguiti da aziende e consorzi (42%), amministrazioni locali (39%), cittadini /consumatori (35%), media (20%).

Stabile la conoscenza sull’economia circolare

Resta stabile la conoscenza sull’economia circolare. La quota dei conoscitori resta stabile al 45% (come nel 2023). Per quanto riguarda il corretto smaltimento dei rifiuti, il 70% di famiglie e individui si confermano i soggetti più virtuosi rispetto allo smaltimento dei rifiuti, seguiti dal settore pubblico (62%) e dalle aziende (57%). Nella classifica dei materiali ritenuti dai cittadini più pericolosi da smaltire, si confermano: l’olio minerale lubrificante usato (60%), RAEE (53%), e plastica dura (50%). Per quel che riguarda l’olio minerale esausto, i cittadini sanno che viene raccolto e che può essere rigenerato, ma il consumatore chiede che venga indicato sulla lattina per poter fare scelte consapevoli.

Numeri filiere strategiche: RAEE, tessili e materie critiche

Secondo i dati di Erion Wee, il consorzio dei rifiuti associati ai prodotti elettronici, dal riciclo di 1.000 tonnellate di Raee ((Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) si potrebbero recuperare circa 900 tonnellate di materie prime come plastiche, vetro, cemento, rame, alluminio e legno. Per quanto riguarda il settore settile, stando ai dati dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA), nel 2020, è stato la terza fonte di degrado delle risorse idriche e dell’uso del suolo. In quell’anno, sono stati necessari in media nove metri cubi di acqua, 400 metri quadrati di terreno e 391 chilogrammi di materie prime per fornire abiti e scarpe per ogni cittadino dell’UE. Il 56% delle materie prime critiche necessarie all’Europa viene attualmente dalla Cina così come circa il 90% della produzione mondiale di terre rare, di manganese e di germanio. In questo scenario il Critical Raw Materials Act, emanato a marzo 2023 dalla Commissione UE stabilisce che entro il 2030 l’estrazione, raffinazione e riciclo di tali materie debbano soddisfare, rispettivamente, almeno il 10%, 40% e 15% del fabbisogno europeo, con l’obiettivo di rendere le filiere industriali più resilienti e meno dipendenti da Paesi terzi.

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