Davide può battere Golia, o almeno può dargli del filo da torcere. È la storia di Luxe Collective, impresa che rivende borse, accessori e calzature di design di seconda mano e che ha aperto il suo primo pop-up store a Londra a pochi passi dalle boutique di lusso Louis Vuitton ed Hermes. Tutto nasce nel 2018 sui social e approda negli spazi fisici. L’azienda conta milioni di follower su TikTok e dà lavoro a 25 dipendenti a tempo pieno con un fatturato di 7,5 milioni di sterline. L’intuizione è di due fratelli ora soci in affari. «Non cerchiamo di vendere nulla, ma solo di intrattenere. Con i contenuti spieghiamo alle persone come funziona il lusso», ha raccontato alla stampa inglese Ben Gallagher, ventitreenne di Liverpool, un passato nel settore assicurativo e un presente da venditore di beni di lusso a prezzi inferiori a quelli delle griffe grazie alriutilizzodegli articoli. «Instagram lo utilizziamo per conversazioni e coinvolgimento, mentre TikTok per la diffusione e la crescita», ha precisato Gallagher.
Intrattenere e acquistare
Luxe Collective ha registrato 2,5 milioni di sterline con le vendite attraverso TikTok Shop, nuova frontiera degli acquisti online approdata da pochi giorni anche in Italia per 22,8 milioni di utenti che potranno acquistare direttamente sulla piattaforma da brand, venditori e creator locali col modello discovery e-commerce, che unisce intrattenimento e acquisto in un’unica esperienza. Oggi TikTok Shop è attivo in diversi Paesi e conta 15 milioni di venditori. Gli utenti comprano direttamente i prodotti che scoprono nei video organici, durante le dirette live o attraverso video shopping ads senza dover mai uscire dall’app. Dall’Inghilterra all’Italia.
Ad entrare in questa nuova modalità di vendita – ma anche di relazione – c’è Nonna Silvi, all’anagrafe Silvana Bini. Si tratta di una nonna toscana di 83 anni che su TikTok condivide le ricette dei piatti della tradizione fiorentina e i grandi classici della cucina italiana. Anima del Forno Martini aperto da suo figlio Marco, Nonna Silvi conta oltre 2 milioni di follower ed è stata invitata anche dall’emiro del Qatar a cucinare il ragù toscano. Carmen Fiorito è nota come NewMartina. Il successo del suo lavoro – cambiare pellicole protettive di cellulari – le ha consentito di espandere il business in nuovi punti vendita a Palermo, Napoli e Bologna. BiSilver è la piccola attività artigianale di gioielli in argento fatti a mano da Beatrice Rinaldi.
Il contenuto fa vendere
Prima il contenuto e poi l’acquisto, prima l’utente e poi il prodotto, partendo dal creator che lo racconta anche in tempo reale. Benvenuti nella nuova era del «content commerce», ossia gli acquisti rapidi ed emozionali nel Gran Bazar dei social. D’altronde i consumatori prima di tutto fruiscono i messaggi in un palinsesto che diventa uno scroll infinito. «Il consumo pervasivo di contenuti vira di conseguenza verso gli acquisti online. I brand si affidano al creator marketing, ampliando le collaborazioni non solo con mega influencer per generare awareness, ma anche con micro e nano-influencer più efficaci nelle fasi di conversione grazie all’autorevolezza su nicchie specifiche», afferma Lucio Lamberti, professore di Omnichannel marketing management alla School of Management del Politecnico di Milano.
Oltre il social commerce, si vira verso nuove dinamiche di relazione. «Più che di disintermediazione, si tratta di una relazione multi-mediata con i creator che amplificano il messaggio del brand con la propria voce creativa. Tuttavia le aziende mantengono un coordinamento attivo, assicurandosi coerenza e controllo narrativo sui vari canali», precisa Lamberti. Cambia il paradigma del commercio online che si incentra più sul contenuto e si esplicita nella conversazione. Un dialogo che sancisce la «creatizzazione» dei brand. «Le aziende devono mettere la creatività al centro della loro strategia, sviluppando storytelling autentici e coinvolgenti. Questo implica decidere se internalizzare i processi creativi con maggiore controllo oppure rafforzare collaborazioni esterne, riconoscendo alla creatività un ruolo strategico e non solo accessorio rispetto al media buying», dice Lamberti.