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Home » Lavoro, ecco perché il declino demografico può far perdere fino a 9 punti di Pil nei prossimi 25 anni
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Lavoro, ecco perché il declino demografico può far perdere fino a 9 punti di Pil nei prossimi 25 anni

Sala NotizieBy Sala Notizie15 Aprile 20254 Mins Read
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“Nei prossimi venticinque anni, se i tassi di occupazione, gli orari di lavoro e la produttività oraria rimanessero immutati sui livelli attuali, il calo della popolazione in età da lavoro implicherebbe una diminuzione dell’input di lavoro e quindi del Pil dello 0,9 per cento all’anno”. Lo si legge nella relazione del Vice Capo del Dipartimento Economia e Statistica della Banca d’Italia Andrea Brandolini davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica in atto “La riduzione del PIL pro capite sarebbe più contenuta, lo 0,6 per cento annuo, per effetto della parallela flessione della popolazione complessiva” ha aggiunto però Brandolini.

Cosa succederà se i tassi di partecipazione al lavoro continueranno a crescere allo stesso ritmo di oggi

“L’aumento dei tassi di partecipazione può contribuire in modo sostanziale ad accrescere l’input di lavoro, contrastando gli effetti del declino demografico. Ciò è avvenuto dall’inizio degli anni duemila a oggi; potrà continuare a farlo nei prossimi venticinque anni solo se ci saranno cambiamenti significativi nella domanda e nell’offerta di lavoro. Se i tassi di partecipazione per genere e classi di età continuassero a crescere allo stesso ritmo dell’ultimo decennio a parità di tutte le altre condizioni, il Pil calerebbe di quasi il 9% da qui al 2050, dell’1,6% in termini pro capite”. Così il vice capo del dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia, Andrea Brandolini, nel corso dell’audizione convocata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica in atto.

Ci sono ampi margini su cui intervenire

“Vi sono ampi margini – si legge al riguardo nella memoria illustrata nel corso dell’audizione – su cui si può intervenire. Nonostante i progressi degli ultimi quindici anni, il tasso di partecipazione italiano nel 2024 era ancora il più basso nell’Ue: pari al 66,6%, era di circa 9 punti percentuali inferiore alla media europea. Il divario era particolarmente ampio tra le donne e i più giovani”.

Invecchiamento della popolazione più veloce di quanto atteso

“L’invecchiamento della popolazione è un processo globale e più veloce di quanto non ci si aspettasse solamente dieci anni fa. È il riflesso sia di un significativo miglioramento nello stato di salute della popolazione sia di una diminuzione della fecondità più rapida del previsto anche in alcune economie dell’Asia, in primis la Cina, e dell’America Latina”. E’ quanto ha detto il vicecapo dipartimento Economia e Statistica della Banca d’Italia, Andrea Brandolini, in audizione davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica in atto. “Nello scenario mediano delle ultime proiezioni demografiche delle Nazioni Unite, la popolazione mondiale dovrebbe raggiungere un picco di poco superiore ai 10 miliardi di persone intorno alla metà degli anni ottanta di questo secolo, per poi diminuire lentamente. Da quel periodo in avanti, la speranza di vita alla nascita oltrepasserà gli 80 anni e le persone di 65 e più anni saranno più numerose di quelle con meno di 18 anni”.

Pensioni, in sistema contributivo possibili ulteriori flessibilità

“In linea di principio, le caratteristiche del sistema contributivo potrebbero consentire, per chi è pienamente soggetto alle nuove regole, forme ulteriori di flessibilità in uscita; si potrebbero anche introdurre forme di rendimento minimo garantito in modo da ridurre i rischi di natura macroeconomica a cui sono esposti gli assicurati” ha spiegato Brandolini. “Se attuate senza intaccare il principio dell’equità attuariale – si legge nella memoria depositata nella Commissione – queste modifiche non metterebbero in questione la sostenibilità del sistema; aumenterebbero però la spesa nel breve-medio periodo assorbendo risorse che potrebbero essere altrimenti dedicate a rafforzare la protezione sociale contro altri rischi altrettanto meritevoli di tutela”. L’economista dell’Istituto ha evidenziato, al riguardo, che “tra i principali paesi dell’area dell’euro, l’Italia è quello che oggi spende di più per pensioni (cinque punti di Pil più della Germania, due della Spagna, uno della Francia). Viceversa per la sanità e per l’assistenza di lungo termine destina meno risorse sia della Germania sia della Francia”.

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