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Home » La mina demografica sul lavoro: entro il 2040 può costare l’11% del Pil
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La mina demografica sul lavoro: entro il 2040 può costare l’11% del Pil

Sala NotizieBy Sala Notizie31 Maggio 20254 Mins Read
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Un mercato del lavoro che resiste, ma è sempre più stretto tra denatalità, gap di competenze, e bassa produttività. La relazione del governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, illustrata venerdì 30 maggio a palazzo Koch, è piuttosto chiara: l’occupazione ha superato nel 2024 le 24 milioni di unità, e il tasso di disoccupazione è sceso dal 10 al 6 per cento. Ma le nubi all’orizzonte non mancano.

Entro il 2040, come dice l’Istat, il numero di persone in età lavorativa si ridurrà di circa cinque milioni di unità. Ciò potrebbe comportare una contrazione del prodotto stimata nell’11 per cento, pari all’8 in termini pro capite. Ecco allora, ha proseguito Panetta, che è necessario aumentare i tassi di partecipazione, in particolare di giovani e donne. Il tasso di occupazione femminile è di gran lunga inferiore a quello maschile, e tra i peggiori a livello internazionale. Ci sono poi tanti italiani che lasciano il Paese: negli ultimi 10 anni sono emigrati 700mila connazionali, un quinto dei quali giovani laureati. Recuperare donne ed expat è certamente importante, complice anche il trend demografico in atto. Ma non basta: serve coinvolgere l’immigrazione regolare, che può fornire un contributo rilevante, soprattutto nei settori delle costruzioni e del turismo. Il contributo può estendersi anche alle attività a maggior valore aggiunto: ma qui, ricorda Panetta, l’Italia sconta un ritardo grave. Tra i principali Paesi è infatti quello con la più bassa quota di immigrati laureati.

Un problema (storico) resta la produttività, nella manifattura come nel resto dell’economia. In Italia cresce poco, e ciò, ha detto ancora Panetta, non basta «a sostenere lo sviluppo del Paese». Anche il basso livello dei salari riflette questa debolezza: fino alla pandemia l’aumento era stato appena del 6 per cento. Il successivo shock inflazionistico ha riportato i salari reali al di sotto di quelli del 2000, nonostante il recupero in atto dallo scorso anno.

Per garantire, quindi, un aumento duraturo delle retribuzioni è indispensabile rilanciare la produttività e la crescita attraverso innovazione, accumulazione di capitale e azione pubblica incisiva. La produttività zoppicante va comunque letta in un contesto considerato da Banca d’Italia ancora industrialmente solido. Nell’industria in senso stretto il valore aggiunto è rimasto stazionario, dopo il calo nel 2023, riflettendo l’espansione nel comparto energetico e la nuova moderata flessione nell’area manifatturiera. A fronte di un aumento generale del Pil dello 0,7% nel 2024, nella manifattura il valore aggiunto è diminuito della stessa entità. Tuttavia, rileva il governatore, «nonostante le difficoltà attuali, l’industria italiana non è destinata al declino. In tutti i comparti operano aziende dinamiche e competitive, che investono in tecnologia e ricerca e si posizionano in fasce di alta gamma». Le basi restano forti dunque, sebbene è vero che dopo la pandemia c’è stata una ricomposizione settoriale che ha visto la quota manifatturiera sul valore aggiunto calare al 16% (valore appena superiore alla media europea) mentre è salito il peso di servizi privati e costruzioni.

L’allarme di Panetta: “Con dazi a rischio 1% Pil globale in un biennio”

E sebbene gli investimenti fissi lordi siano aumentati appena dello 0,4% (rispetto al 9% del 2023) a causa del -2,6% degli acquisti di macchinari e impianti e mezzi di trasporti. Il livello di innovazione è il principale freno. «La spesa in ricerca e sviluppo in rapporto al Pil – si legge nella relazione – è ancora nettamente inferiore alla media dell’Ue. Il divario è riconducibile soprattutto al settore privato e si traduce in un numero di brevetti minore rispetto agli altri Paesi europei». A fronte di buoni risultati in termini di ricerca accademica, l’Italia arranca ancora per spesa del settore privato in R&S (0,76% del Pil, poco più della metà della media Ue), trasferimento tecnologico e numero di brevetti. In quest’ultimo campo c’è stato un parziale recupero ma il numero di brevetti presentati da residenti in Germania e Francia è pari rispettivamente a cinque e a due volte quello dei residenti in Italia.

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