«Avere un’azienda solo della famiglia è sempre stato il desiderio di mio padre. Dal giorno in cui abbiamo ceduto le quote, abbiamo avuto in testa la volontà di riprenderci la nostra storia. Non è una questione di chiusura mentale. Non abbiamo pregiudizi verso i fondi, la Borsa o la partecipazione di soci. L’apertura del capitale è uno strumento che abbiamo utilizzato quando ce ne è stata la necessità. Nel 2015, per esempio, quando abbiamo deciso di costruire lo stabilimento americano, abbiamo aperto il capitale al Fondo italiano d’investimento. Ma appena si sono create le condizioni per riprendere il possesso del cento per cento delle quote, lo abbiamo fatto». Per una questione di sentimenti, ma anche strategica. Un mix tra cuore e ragione.
Jody Brugola, 44 anni, presidente della Brugola OEB (Officine Egidio Brugola) racconta la decisione di riprendersi il 100% dell’azienda, maturata un mese fa, con la massima naturalezza. Qualcosa che non poteva non succedere. Jody è la terza generazione di una delle rappresentanti più cristalline del capitalismo familiare italiano. E’ il nipote di quell’Egidio Brugola che ha fondato l’azienda nel 1926 e compare nella ragione sociale dell’impresa. Jody, peraltro, si chiama Egidio come il nonno, l’inventore e brevettatore della brugola (1946), la “vite cava esagonale con gambo a torciglione”, come la definisce la Treccani, a cui ha dato il suo nome. Vite a brugola, per tutti brugola. Un prodotto diventato nome comune come, per esempio, barbie e scotch, bancomat e k-way, scottex e bostik, jeep e crodino, borotalco. L’eccellenza della produzione e del commercio mondiale trasformata on minuscola dall’uso diffuso. Impensabile che la brugola, che peraltro l’azienda brianzola non produce più, non tornasse completamente alla famiglia che l’aveva creata.
Le traiettorie delle imprese, si sa, non sono mai lineari, ma restano riconoscibili nel tempo. Con un’anima e un dna. Dopo la Prima Guerra Mondiale, nel 1926, Egidio Brugola fonda l’azienda a Lissone, in Brianza, per produrre rondelle e anelli per motori. «La prima fase dell’azienda, quella di Egidio», dice Jody, «ha dato l’anima all’azienda, la filosofia che è rimasta fino ad oggi. Ricerca, massima qualità, specificità e caratterizzazione dei prodotti. Dalla diversificazione nasce l’idea della brugola». La seconda fase, guidata dal 1964 da Gianantonio, il padre di Jody, è quella della crescita. Sono gli anni del Boom economico. «E’ la fase della massa critica», spiega Jody. «Si ampliano la gamma e la produzione, crescono le esportazioni, soprattutto in Europa. Si gettano le basi per far diventare l’azienda cruciale nel settore automotive. Vengono lanciati i concetti di qualità totale e difetto zero, figli della filosofia della ricerca di Egidio». Brugola diventa fornitore unico di Volkswagen, poi del motore I4 della Ford, uno dei più diffusi al mondo. Le viti critiche dei motori, sette, sono spesso quelle dell’azienda di Lissone.
La parentesi di soci e fondi d’investimento
Nel 1990, anche per finanziare lo sviluppo all’estero, arriva la costituzione della Abf, la società con i gruppi Agrati e Fontana, che prende il 30% delle quote di Brugola. Nel 2015, sempre per lo stesso scopo, il Fondo italiano d’investimento entra nel capitale sottoscrivendo un aumento riservato e finalizzato alla costruzione dello stabilimento americano di Detroit. Inizia l’era di Jody, presidente proprio dal 2015.
A Jody spetta forse la fase più complicata dell’azienda. Ci sono i soci esterni, il Fondo italiano d’investimento e Abf (con Agrati e Fontana). C’è l’onda lunga della crisi dell’automotive, figlia della crisi finanziaria del 2008-2009. Ci sono lo sviluppo e l’internazionalizzazione necessari per sopravvivere. Ci sono la riorganizzazione della produzione e degli stabilimenti. C’è anche l’eredità ingombrante di un nonno e di un padre che avevano fatto la storia dell’azienda. «Ero consapevole fin dall’inizio», dice Jody, «che il lavoro da fare era molto impegnativo. Ho sentito la responsabilità, ma mai il peso della storia. Da giovane ero stato molto dietro le quinte e avevo lavorato a tutti i dossier, ero preparato. C’erano tante cose da fare e questo, paradossalmente, era un vantaggio. Partire da una situazione di difficoltà, la prima che l’azienda attraversava nella storia, poteva creare meno resistenza al cambiamento. E così è stato».