Dalle semestrali in chiusura è attesa la conferma che la corsa dei profitti bancari non si è ancora fermata. I risultati record del 2023 fanno da cornice: utili netti di sistema a 32,7 miliardi (+132% sul 2021) spinti da margini finanziari schizzati in due anni da 38,4 a 62,1 miliardi e da rettifiche su crediti crollate a 6,3 miliardi dai 38,1 del 2013.

Ad alzare l’asticella e le aspettative sui profitti 2024, oltre alle dichiarazioni di alcuni esponenti bancari, sono state le trimestrali di marzo dei maggiori gruppi (circa l’80% del settore) che hanno chiuso con utili complessivi di 8 miliardi e margine denaro di 13. Successivamente, in attesa dei tagli della Bce avviati a giugno con un timido quarto di punto, i dati dei primi 5 mesi del 2024 (pubblicati da Banca d’Italia e Abi) hanno confermato l’elevato differenziale dei tassi medi clientela (anch’esso da record): 355 punti base, contro una media di 332 dello scorso anno. Da spread clientela e rendimento dell’attivo al 4,16% (3,78% nel 2023) emergerebbe un aumento annuale di 2,3 miliardi del margine finanziario sulla raccolta da famiglie e imprese residenti: 2.042 miliardi al 31 maggio – su depositi, Pct e obbligazioni – remunerati mediamente all’1,26%, contro un tasso dei prestiti (1.276 miliardi) arroccato sul massimo di 4,81%.

Correntisti penalizzati

Ad aprile le giacenze sui conti correnti superavano i 1.300 miliardi e il 64% della raccolta. Si tratta di raccolta a vista che, in base alla distribuzione indicata nell’ultimo bilancio, le maggiori banche destinano per il 10% a coprire i finanziamenti clientela a vista e per il 62% quelli a scadenza, investendo poi il rimanente 28% in titoli di Stato e altri impieghi. In teoria, il conto corrente non ha la funzione di investimento per i correntisti. Ma, in realtà, come visto, ce l’ha per le banche.

Tuttavia, la remunerazione delle giacenze sui conti è ferma allo 0,57% (contro il 2,49% della raccolta in essere a scadenza). In dettaglio, il tasso è dello 0,38% sui conti delle famiglie (contraenti deboli) e dell’1,02% per le imprese. Prima del lungo periodo dei tassi azzerati o negativi, negli anni dal 2000 al 2008 i tassi medi sui c/c erano per le famiglie all’1,02% (con mesi all’1,77%) e per le imprese all’1,69% (fino al 3,10%). In quegli anni, la remunerazione dei c/c corrispondeva al 50% (famiglie) e all’83% (imprese) del tasso ufficiale Bce sui depositi overnight.

Dopo i tassi negativi, dal luglio 2022 all’aprile scorso lo stesso rapporto si è ridotto a un quinto, fermandosi rispettivamente all’8% e al 18% del tasso Bce, a comprova del persistente ritardo delle banche nel riprezzare la raccolta in essere. E se è vero che le banche italiane non hanno mai applicato tassi negativi sui conti della clientela, va pure considerato che hanno usufruito, fin dal 2014, di finanziamenti agevolati Bce (Tltro), con un guadagno netto compensativo annuale stimato da Banca d’Italia in 3,3 miliardi, equivalente allo 0,22% delle giacenze sui conti correnti.

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