Il vantaggio aumenta quanto più sono ampie le dimensioni delle aziende: questa sorta di premio di produttività – legato anche ai processi di efficientamento in cui spesso sono impiegati i sistemi governati dall’intelligenza artificiale – sale infatti al 19% per le imprese medio grandi (50-499 addetti). Ma cresce anche per le aziende cosiddette low-tech che registrano un aumento della produttività del 15% e quindi superiore alla media di tre punti percentuali. C’è poi un impatto potenziale positivo anche sull’export: a parità di caratteristiche, le aziende che utilizzano l’Ia hanno una maggiore (di circa il 10%) probabilità di registrare un aumento di export nei prossimi anni rispetto a quelle che non ne fanno uso, e la percentuale sale al 17% per le Pmi.
Tra le altre motivazioni che spingono le imprese italiane verso l’Ia spiccano l’automatizzazione dei processi produttivi (33,9%), il miglioramento dell’efficienza dei processi produttivi (31,8%) e dei processi decisionali interni (29,6%) nonché delle strategie di marketing e di presenza sui mercati esteri (20,7%). «I dati ci dicono che la maggior parte delle imprese che utilizza o vuole utilizzare l’intelligenza artificiale lo fa per una questione di efficientamento e di miglioramento dell’attività esistente – continua Esposito – mentre solo una piccola percentuale (l’8,5%) pensa di impiegarla per realizzare delle attività totalmente nuove». Forse anche per questa ragione (o per le questioni culturali e di conoscenza riportate qualche riga fa) gli investimenti sono rivolti a «tecnologie standard, almeno per un’impresa su tre», precisa Esposito. Un’azienda su quattro, invece, non sa proprio in cosa investirà, complici le incognite legate ai futuri sviluppi dell’Ia. Non sembra emergere il tema dei costi – forse proprio per la quota limitata di imprese che vuole investire in strumenti personalizzati: «Ci sono “entry level” che non presuppongono un investimento massiccio come avviene invece in altri ambiti del processo di transizione tecnologica e digitale», dice il direttore generale del Centro Studi Tagliacarne.
Timori per otto su dieci
I rischi connessi a questa tecnologia preoccupano, ma non frenano gli investimenti: tra le aziende che prevedono, infatti, di farne uso entro il 2029, la grande maggioranza (81,6%) si dice preoccupata dai potenziali rischi connessi all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. In particolare, oltre la metà (47,5%) delle imprese è turbata dalle potenziali ricadute in termini di sicurezza informatica e di privacy, il 33% dall’inaffidabilità dei dati e delle informazioni fornite da questi strumenti, il 30,5% dalla riduzione delle relazioni umane all’interno dell’azienda. A seguire, emergono come preoccupanti il rischio di violazione della proprietà intellettuale (19%) e la difficoltà a individuare responsabilità legali (17,9%).
La geografia
I dati ripropongono la consueta dicotomia Nord vs Sud. A vincere è il Nord-Est, dove il 28% delle imprese ha investito o investirà entro il 2029 in strumenti di Ia; seguono Nord-Ovest (27,4%) e Centro (27%) e a tre punti percentuali di distanza Sud e Isole (24%). Ma la situazione non è da considerarsi statica: «Gli ultimi dati dicono che sul digitale, tendenzialmente, il Mezzogiorno tiene il passo con il Nord. Siccome al Sud si è iniziato a investire più tardi, ma in diversi casi l’intelligenza artificiale ha bassi livelli di ingresso dal punto di vista del costo dell’investimento, è probabile che, mantenendo questi ritmi,si possa verificare un “recupero”», dice Esposito.
L’impatto occupazionale
C’è poi un altro tema “caldo” quando si parla di imprese e Ia: quello dell’impatto occupazionale dell’implementazione di questi strumenti hi-tech nei processi aziendali. Circa un terzo delle imprese italiane (32,7%) crede che l’intelligenza artificiale possa portare a un calo occupazionale, mentre appena l’8,4% ne prevede un incremento. C’è da dire, però, che per quasi un terzo delle imprese (30,2%) l’impatto sull’occupazione potrebbe essere nullo, grazie a un bilanciamento tra effetti negativi (cioè la sostituzione dell’essere umano in termini di mansione) e positivi. Tra questi c’è il bisogno di nuove professionalità: per fare fronte a un adeguato utilizzo di queste nuove tecnologie, il 29,6% delle imprese prevede un aumento della formazione dei lavoratori e il 13,2% un incremento delle possibilità di carriera.








