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Home » Gaza, ecco cosa sappiamo (e cosa no) dei tre attacchi di Idf in tre giorni
Mondo

Gaza, ecco cosa sappiamo (e cosa no) dei tre attacchi di Idf in tre giorni

Sala NotizieBy Sala Notizie3 Giugno 20254 Mins Read
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Una folla si avvicina a un punto di distribuzione degli aiuti a Gaza. L’esercito israeliano spara. Ci sono morti. Questa scena si è ripetuta tre volte negli ultimi tre giorni, precisamente l’1, il 2 e il 3 giugno. Si tratta di episodi quasi fotocopia con lievi differenze.

Al centro degli incidenti sempre la Gaza Humanitarian Foundation, la ong gestita da israeliani e americani che ha sostituito tutte le ong che operavano nell’area, per volere di Israele che sostiene di sottrarre così ai militanti di Hamas il sistema degli aiuti. Questo sistema regge per meno di una settimana dall’inizio operazioni poi si scatena il caos.

Il 1° giugno operatori sanitari e testimoni denunciano l’uccisione di 31 persone e oltre 170 feriti a Rafah, a circa un chilometro dal centro di distribuzione degli aiuti. Il 2 giugno le forze israeliane nella Striscia hanno aperto il fuoco contro persone che si dirigevano verso lo stesso sito di distribuzione di aiuti sempre circa a un chilometro di distanza, intorno all’alba, uccidendo almeno tre persone e ferendone decine. La sparatoria del 2 giugno avviene nello stesso luogo in cui, secondo testimoni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco il giorno prima contro una folla di persone. Quindi il luogo è lo stesso. La dinamica è simile. Si arriva al terzo incidente, l’attacco di oggi 3 giugno. Stavolta l’Idf ha aperto il fuoco sui civili che attendevano la distribuzione di aiuti umanitari più vicino al centro di distribuzione aiuti. Il posto è sempre lo stesso: la zona di Rafah, nella parte meridionale della Striscia.

La differenza tra il primo e il terzo attacco è che la prima volta, nell’attacco del 1° giugno, le forze israeliane dichiarano di “non essere al corrente di vittime provocate dal fuoco israeliano all’interno del sito di distribuzione degli aiuti”, e che tutte le accuse sono state fabbricate da Hamas, mentre la Gaza Humanitarian Foundation sostiene che “non ci sono stati incidenti”, smentendo notizie di “morti, feriti e caos”. Questa versione regge solo se si considera quanto sostenuto dai testimoni e operatori sanitari e cioè che l’attacco sui civili avviene a un chilometro di distanza dal centro di distribuzione degli aiuti. Nel secondo attacco, l’esercito nega di aver impedito alle persone di raggiungere il sito. Nel terzo attacco, invece, l’esercito israeliano dichiara di aver sparato “vicino ad alcuni individui sospetti” che hanno abbandonato il percorso designato, si sono avvicinati alle forze dell’esercito israeliano e hanno ignorato i colpi di avvertimento. Quindi stavolta non si negano gli spari e, secondo la ricostruzione a disposizione, i palestinesi in fila erano a 500 metri dal punto di distribuzione. Solo l’ultima volta, quella del 3 giugno, le versioni sembrano coincidere perché c’è un’ammissione dell’esercito israeliano.

Gaza City, le immagini poco dopo un attacco israeliano

Nega invece qualsiasi problema, ancora una volta, la Gaza Humanitarian Foundation che afferma come la distribuzione degli aiuti «sia avvenuta oggi in modo sicuro e senza incidenti» presso il suo sito a Rafah. Alcuni testimoni palestinesi però non hanno confermato solo la sparatoria “indiscriminata”. Una volta raggiunto il centro, Neima al-Aaraj, una donna di Khan Younis, citata da Ap, è tornata a mani vuote: “Non c’era alcun aiuto”, ha detto. Un’altra testimone, Rasha al-Nahal, ha raccontato che “c’erano spari da tutte le direzioni”. Ha detto di aver contato più di una dozzina di morti e diversi feriti lungo la strada e di non aver trovato nessun aiuto quando è arrivata al centro di distribuzione. Le forze israeliane “hanno sparato contro di noi mentre stavamo tornando”, ha aggiunto. Un giornalista dell’Associated Press arrivato all’ospedale da campo della Croce Rossa intorno alle 6 del mattino ha visto feriti che venivano trasferiti in altri ospedali con ambulanze. All’esterno, la gente passava di lì di ritorno dal centro di distribuzione degli aiuti, perlopiù a mani vuote, mentre a terra c’erano sacchi di farina vuoti macchiati di sangue.

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