Le parole di Matteo Santi si sbriciolano durante il discorso. Cadono e tornano come un’eco con così tanta facilità che l’amministratore delegato di Beste deve ripetere qualche frase: «Non c’è linea». «Non abbiamo linea. Mentre le parlo vedo il furgone dell’esercito. Sono arrivati i militari per darci una mano». La sua azienda tessile, tra le più rinomate sul territorio, è una delle tantissime imprese inghiottite dal fango dell’alluvione che ha colpito la Toscana. La sede principale, a Ponte di Colle, in provincia di Prato, si affaccia sul fiume Bisenzio. E lì, nel piazzale davanti all’edificio, i detriti formano montagne: «L’acqua ha trascinato nello stabilimento tre auto dei dipendenti. Una macchina è sparita nel fiume. Abbiamo 10 centimetri di fango, quasi un metro d’acqua».
Ha fatto la conta dei danni?
«Proviamo a farla un po’ alla volta, altrimenti ci prende lo sconforto. Penso che il 90% delle merci in lavorazione e giacenti sia irrimediabilmente compromesso. Parliamo di qualche milione di euro perso. Abbiamo impianti, macchinari, attrezzature distrutti. Produzione e consegna merci ferma. Ma non ci arrendiamo, continuiamo a spalare tutti insieme, dagli operai ai titolari, per ricostruire. Devo essere onesto, non mi aspettavo questo disastro…».
L’allerta era arancione.
«Se fosse stata anche rossa noi non avremmo chiuso comunque lo stabilimento perché non era previsto che straripasse il torrente. Giovedì scorso io e il mio ingegnere abbiamo percepito la straordinarietà delle precipitazioni e tenevamo monitorata la situazione».
In che modo?
«Parlavamo con i nostri ragazzi che erano di turno. Quando ci hanno avvisato che il Bisenzio stava cominciando a straripare abbiamo dato ordine di spegnere tutti i reparti e di andare via. Ma nel giro di un quarto d’ora avevamo dentro già quasi un metro d’acqua. Il livello è salito talmente rapidamente che gli operai non hanno avuto modo di fermare le macchine e sono saliti subito al piano di sopra».
Poi cosa è successo?
«L’acqua ha raggiunto i quadri elettrici, è saltata la corrente, reparto dopo reparto. Verso le tre di notte siamo riusciti a mandare una ruspa per portare fuori i dipendenti a tre a tre. Io da casa non ho chiuso occhio. Pensavo a come avrei trovato l’azienda il giorno dopo».
Qual è la prima immagine che ha in testa?
«Mi avevano girato delle foto, ma vederlo con i miei occhi è stato diverso. C’erano cancelli sradicati, terra, sassi. Reparti affogati nel fango, scaffalature ribaltate, documenti non più leggibili, rotoli di tessuto da buttare. E quei rotoli valgono molto».
Molto quanto?
«Tanto, sono composti da fibre pregiate, naturali. Tra i nostri clienti ci sono Dolce & Gabbana, Burberry, Max Mara, Cucinelli. Per quest’anno avevamo previsto un fatturato di 90 milioni e ovviamente, per questo stop, non lo raggiungeremo, ma cercheremo almeno di avvicinarci. Oggi farò una riunione di pianificazione con i capi reparto e con mio fratello (presidente dell’azienda ndr) per capire le ripercussioni sulle consegne».
Ha rabbia?
«Certamente fa rabbia pensare alla burocrazia contro cui deve combattere un imprenditore con quasi 300 dipendenti. I funzionari pubblici dovrebbero occuparsi meno della verifica degli adempimenti burocratici e più di azioni per evitare calamità come queste».
Che effetti avrà lo stop sullo stipendio dei dipendenti?
«Lo garantiremo a tutti, a prescindere. Gli impiegati lavoreranno da remoto, gli operai svolgeranno operazioni di pulizia e di manutenzione, chiederemo loro azioni che non sono abituati a fare in azienda: smontare mobili, buttare i detriti. Ripartiremo appena possibile».
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05 nov 2023