Taglio prezzo, 3X2, tariffe forfettarie ma anche prezzi che terminano con 99 cents. Sono alcune delle strategie messe in atto da aziende e retailer per spingere il consumatore ad acquistare di più. Perché funzionano? Su quali “punti deboli” fanno leva? E come ci si può cautelare?
Perché quando paghiamo soffriamo
Per capirlo bisogna partire da ciò che gli psicologi definiscono dolore del pagamento. «Numerosi studi hanno dimostrato che separarci dai soldi attiva in noi i circuiti cerebrali del dolore, o più precisamente del disgusto/dispiacere – spiega Edoardo Lozza, professore ordinario di Psicologia dei consumi e del marketing presso l’Università Cattolica di Milano e autore di “Psicologia del denaro: un approccio storico-genetico” – Insomma quando tiriamo fuori le banconote dal portafogli soffriamo un po’».
Il dolore quando si paga in contanti…
La situazione cambia quando paghiamo con gli strumenti elettronici, come le app, il bancomat o la carta di credito. In questi casi il dolore è meno forte in quanto non abbiamo la sensazione di spendere davvero i soldi. «Il pagamento elettronico anestetizza, almeno in parte, il dolore del pagamento. Ecco, allora, che acquistiamo più facilmente cose di cui non abbiamo bisogno o di cui non siamo del tutto convinti». Per questo, per limitare le spese, può essere utile ricorrere, per quanto possibile, al denaro contante.
… e con la carta di credito
L’equazione “contanti = sofferenza” vale per le generazioni più adulte. Nei giovani, abituati a utilizzare gli strumenti digitali, il dolore del pagamento si attiva quando usano le app, la carta o il bancomat. Per contro, quando pagano con i contanti, non sentono di spendere davvero «anche perché in loro il dolore si è già attivato quando hanno prelevato il denaro allo sportello. È un po’ come se, quando lo prelevano, lo avessero già speso».
Le tariffe flat: spendere di più per soffrire meno
Per liberarsi del dolore del pagamento, i consumatori finiscono, paradossalmente, per spendere di più. È ciò che accade quando si preferisce una tariffa forfettaria, in cui si sa già quanto si spenderà, rispetto a un contratto pay per use, che potrebbe essere potenzialmente più conveniente. «Succede quando si stipulano i contratti di telecomunicazione o di leasing automobilistico. Ma succede anche in taxi, quando si preferisce la tariffa flat, a rischio di spendere di più, pur di non vedere il tassametro salire».
Promozioni: vince il taglio prezzo
Quando si parla di promozioni, vince il taglio prezzo. Tra uno sconto sul prezzo e un’offerta, come il 3×2, che permette di acquisire una maggior quantità del bene alla stessa cifra, la maggior parte dei consumatori opta per il primo. Il motivo? «Prevale il principio per cui il guadagno del bonus pack conta meno delle (mancate) perdite relative allo sconto».
Promozioni: la cifra più alta cattura l’attenzione
Attenzione però: se entrambe le offerte (taglio prezzi e bonus pack) sono espresse con una percentuale, vince la cifra più alta. «Per esempio, i consumatori sono portati a pensare che un aumento del 50% della quantità sia più vantaggioso di una riduzione del 35% del prezzo, solo perché 50 è più grande di 35, anche se – a livello reale – può essere più conveniente la seconda opzione». Che fare allora? «Conviene non focalizzarsi sulle cifre della percentuale, ma calcolare il valore reale».
Il prezzo “.99” aumenta la spesa complessiva
Molto frequente è il così detto “odd pricing”, vale a dire la pratica di fissare un prezzo appena inferiore a un numero “tondo”. Ecco, allora, lo snack a 0.99 (anziché a 1 euro) o la t-shirt a 19.99 (anziché a 20 euro). L’effetto, qui, non è solo sulla vendita di quel prodotto, che viene percepito come un’occasione, ma anche sulla spesa complessiva. «Questi prezzi danno la sensazione di aver risparmiato qualcosa e, dunque, spingono ad acquistare altri prodotti. Il risultato è che si compera più di quanto si era programmato».
300 euro all’anno o meno di 1 euro al giorno?
Un’altra strategia molto diffusa, soprattutto nel caso degli abbonamenti, è la riformulazione del prezzo in periodi più brevi. Un abbonamento annuale da 300 euro può essere presentato come “meno di un euro al giorno” oppure “come 25 euro al mese”. «La cifra che il consumatore paga è, ovviamente, sempre la stessa ma la percezione, e quindi la propensione alla spesa, cambia».
Attenzione all’ordine di “presentazione”
Anche l’ordine con cui vengono proposti i prodotti (e i prezzi) influenzano la scelta. «I consumatori tendono ad ancorare la loro valutazione ai prezzi che vedono per primi. Per questo proporre un elenco di opzioni ordinato per prezzi decrescenti porta a una spesa media maggiore rispetto a un elenco ordinato in modo crescente, in quanto i consumatori si ancorano ai primi prezzi nell’elenco». Attenzione, dunque, quando si fanno acquisti on line o in negozio, all’ordine con cui vengono presentati i vari items.
L’auto: mostrare il full optional fa spendere di più
C’è, poi, il tema dei prodotti personalizzabili, come, per esempio, l’automobile. «Gli studi mostrano che proporre una versione pienamente accessoriata, alla quale il consumatore deve sottrarre/eliminare le opzioni che non interessano, porti a una spesa più elevata rispetto ai casi in cui si parte dal modello base, a cui il consumatore aggiunge gli optional desiderati». Di conseguenza in questi casi è importante, per evitare di essere condizionati, avere chiare in mente quali sono le caratteristiche del prodotto/servizio desiderate.
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05 nov 2023