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Boselli, in Cina cresce il peso dei marchi locali. Ma c’è spazio per l’Europa

Dicembre 20, 2021
nel Economia
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Mario Boselli con la Vice Sindaco Chengdu Liu Xiaoliu

Era il 1978, all’inizio dell’epoca di Deng Xiaoping, quando Mario Boselli è andato per la prima volta in Cina. L’ultima, il 21 novembre 2019, poco prima della pandemia che ha chiuso le frontiere del Paese del Dragone. Imprenditore tessile, è stato anche presidente (dall’84 all’89) della International Silk Association, affiancato per la prima volta come vice dalla massima autorità della China National Silk Import&Export. Presidente onorario della Camera nazionale della moda italiana, e oggi presidente dell’Istituto Italo-Cinese, è al timone della Fondazione Italia Cina. «Certo, sono stati molto diversi i miei 170 viaggi — dice ridendo —. Basta pensare che nei primi dovevo passare da Hong Kong per raggiungere la Cina. Ma oggi dobbiamo affrontare grandi cambiamenti perché la pandemia ha in un certo senso raffreddato i rapporti. E dal punto di vista commerciale si è verificata una specie di ibernazione, che siamo sicuri sarà temporanea, ma al momento incide fortemente».

Infatti Nike e Adidas, i marchi più venduti in Cina, ora sono tallonati da Anta e Li Ning, due brand prodotti nel Paese del Dragone che stanno crescendo vertiginosamente. Nei primi sei mesi del 2021 hanno segnato un +60%. Se aggiungiamo gli appelli sempre più frequenti del presidente Xi Jinping a comprare cinese per rilanciare la produzione interna, otteniamo una crescita stupefacente di prodotti Made in China. Le multinazionali straniere continueranno a puntare sul dragone per crescere?


«Era inevitabile che in Cina nascessero dei marchi nazionali, che peraltro hanno dei livelli qualitativi paragonabili a quelli di Nike e Adidas: infatti, dove viene prodotta la merce che si trova nei negozi di questi marchi? Le fabbriche e le materie prime sono esattamente le stesse, e il contenuto d’innovazione tecnica e fashion dei brand cinesi è ormai poco lontano dai prodotti di Nike e Adidas, i cui team di sviluppo e ingegnerizzazione sono ormai quasi più in Cina che in Usa o Germania. Tutto ciò premesso, per quanto riguarda la strategia delle multinazionali straniere, soprattutto del mondo moda e life style, sono convinto che sarebbe un errore perdere questa opportunità date le enormi potenzialità del mercato cinese, caratterizzato dall’affacciarsi di nuovi consumatori».

Le multinazionali straniere storicamente erano percepite come più affidabili per qualità e sicurezza dei prodotti. È un’opinione che sembra cambiata: per nazionalismo, propaganda o per gli sforzi fatti dalla Cina nella produzione?

«Il rapporto qualità/prezzo di alcune fasce di prodotto, soprattutto medio basse, è ormai a favore dei marchi cinesi, i cui compratori appaiono sempre più consumatori “maturi”, diventati molto attenti al valore intrinseco degli acquisti. Perché comprare a un prezzo molto più alto qualcosa che viene prodotto nel loro Paese semplicemente perché c’è un marchio straniero se non si percepisce alcun valore aggiunto? Rendiamoci conto che in Cina ci sono le tecnologie e le capacità di produrre qualsiasi cosa in qualsiasi settore con una qualità sempre crescente. Non a caso nella corsa allo spazio i cinesi sono sorprendentemente avanti e probabilmente saranno proprio loro a portare il prossimo uomo sulla Luna entro il prossimo lustro. È diverso invece il discorso per i prodotti di lusso (dal fashion ai vini, dalla cosmetica ai gioielli e arredamento) che sono fabbricati nei luoghi di origine e quindi oltre al valore intrinseco hanno anche un plus di “esotico”. Nel senso proprio del termine, cioè qualcosa che viene da fuori, da lontano, in questo caso dall’Europa. Direi che si è formato un vero e proprio “Esoticismo Europeo”, che ben si identifica con la cultura e il modo di vivere in Europa, più ancora che occidentale. Il fiore all’occhiello in questo quadro è costituito dal made in Italy, da quella eccellenza qualitativa e creativa del “bello ben fatto” italiano, in particolare i suoi tessuti e il prêt-à-porter di alta gamma. Non a caso negli ultimi anni i marchi che hanno cercato di ammiccare ai consumatori cinesi includendo maldestramente nei propri prodotti aspetti della loro cultura tradizionale, hanno visto ridursi la capacità di attrarre i consumatori».

Come si stanno sviluppando i rapporti con l’Italia?

«Come presidente della Fondazione Italia Cina, il principale problema che ci viene posto dai nostri associati è la chiusura della Cina per la politica Zero-Covid. Se è vero che dal punto di vista pandemico la Cina ha ottenuto risultati eccezionali, è altrettanto vero che più si protrae questa chiusura ermetica, più diventa difficile sostenerne il peso anche dal punto di vista delle relazioni commerciali. Ci sono aziende che hanno davvero serie difficoltà a gestire le consociate cinesi. Il timore è che se, come è probabile, questo virus diventerà endemico a livello planetario, il blocco potrebbe protrarsi ancora per molto tempo e questo per gli affari diventa un problema grave. Si dovrebbe anche parlare dell’assenza o quasi di voli diretti fra Italia e Cina ma direi che si tratta di un problema da risolvere dopo che si sarà riaperto il Paese, con la concessione dei visti e la riduzione o l’eliminazione della quarantena all’arrivo in Cina. Bisogna peraltro ricordare che, nonostante i vincoli e le difficoltà, i rapporti economici procedono con trend in crescita riguardo alle nostre esportazioni e alla presenza nel Paese».

Se la Cina ha bisogno di Xi Jinping per trasformarsi in un «moderno Stato Socialista» entro il 2035 e in una «nazione forte e prospera» entro il 2049, centenario della nascita della Repubblica Popolare, accentuerà questo nazionalismo della produzione?

«Quello che mi pare di percepire dai rapporti che ho con i miei contatti cinesi, è un crescente, genuino e profondo orgoglio di essere cinesi con la piena consapevolezza dei risultati raggiunti in questi ultimi decenni che hanno riscattato quel “secolo perduto” a causa dell’ingerenza delle potenze coloniali europee. Sostanzialmente, i cinesi sono ritornati su quel percorso di sviluppo millenario che ha avuto solo un secolo “buio” di interruzione, recuperato dagli ultimi decenni di iper-sviluppo. Ora la Cina vuole che venga riconosciuto il suo ruolo nello sviluppo mondiale, e giustamente pretende di essere trattata e rispettata per quello che è, una superpotenza. Come dicevamo prima, la capacità della Cina di produrre qualsiasi cosa inevitabilmente porterà i suoi consumatori a comprare sempre meno prodotti d’importazione, salvo le eccezioni di quei beni di lusso che si differenziano dalla produzione locale».

Biden minaccia di boicottare le Olimpiadi invernali in Cina per la misteriosa sparizione della tennista Peng Shuai. È la conseguenza indiretta di queste guerre commerciali?

«I rapporti tra americani e cinesi sembrano essere piuttosto tesi, ma onestamente non mi sembra che la situazione sia a un livello così degradato da giustificarlo. Ricordiamoci che ci sono rapporti economici e finanziari tra queste due superpotenze che le rendono sostanzialmente interdipendenti. Finché certe linee rosse non verranno superate, difficilmente si entrerà in una spirale di azioni così estreme».

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