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Home » Difesa e basi Nato in Italia, cosa serve per poterle usare
Notizie Locali

Difesa e basi Nato in Italia, cosa serve per poterle usare

Sala NotizieBy Sala Notizie21 Giugno 20254 Mins Read
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Che gli americani non possano usare le basi militari sul territorio italiano senza un passaggio da Palazzo Chigi sembra assodato, ma anche sulla necessità – formale o anche solo politica – di un coinvolgimento del Parlamento non ci sono molti dubbi: «Se gli Usa decideranno di utilizzare le loro strutture nell’ambito di una campagna contro l’Iran, il governo non potrà fare a meno di passare da Camera e Senato». E’ il pensiero di due dei più autorevoli costituzionalisti italiani, Michele Ainis e Cesare Mirabelli, a cui è stato chiesto: è legittimo per il nostro Paese alla luce della Carta Costituzionale – che all’articolo 11 “ripudia la guerra” – che gli Stati Uniti facciano uso delle basi in Italia per azioni contro Teheran?

L’articolo 5 del trattato della Nato

Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha spiegato che le basi Usa possono essere utilizzate solo dopo l’ok del nostro governo, ma che ancora tale richiesta non è arrivata. Ma la questione è più sottile, e coinvolge il famoso articolo 5 del trattato della Nato, quello di mutuo soccorso tra gli Stati membri. «Noi abbiamo l’articolo 11 – afferma all’Ansa Michele Ainis – che ci vieta guerre di aggressione, e l’unica guerra ammissibile è quella difensiva». L’Italia nel 1949 ha aderito alla Nato, ricorda, e c’è l’articolo 5. Ma qui si tratterebbe, afferma Ainis, di «fare da trampolino di lancio al di fuori del sistema difensivo della Nato, si tratta di una guerra condotta contro l’Iran non per difendere il blocco Nato, ma per una aggressione verso un Paese terzo. Un conto è permettere agli Usa di avere delle basi nel tuo territorio all’interno della Nato, un conto è usare queste basi per un orizzonte bellico al di fuori della Nato».

Il passaggio in Parlamento

E dunque si possono utilizzare le basi? «Se dovessi dire – risponde il giurista – non si dovrebbe poter fare». Il governo comunque «dovrebbe riferire in Parlamento, perché è il Parlamento il dominus dell’entrata in guerra. Lo dice l’articolo 78, anche se lo stato di guerra non è mai stato deliberato. Non si può scavalcare il Parlamento. Qualunque decisione che ha a che fare con l’appoggio o l’intervento diretto militare o l’appoggio a un altro Stato non può non avere una ’benedizione’ parlamentare».

Il caso dell’Iraq

Fu il caso per esempio del 2003 – invasione dell’Iraq – quando il Parlamento approvò delle risoluzioni dopo la relazione dell’allora premier Silvio Berlusconi. «Il Parlamento – afferma Cesare Mirabelli, ex presidente della Corte Costituzionale – ha le competenze centrali del sistema, anche se oggi questa centralità la vedo un po’ flebile. Sarebbe adeguata una informativa del governo. Ci può essere una iniziativa dello stesso Parlamento che chiede di essere informato. La risoluzione può vincolare il governo nel rapporto politico: in caso di contrasto di indirizzo si può arrivare alla sfiducia».

Le basi Nato in Italia

Se potrebbe fermare gli americani? «Il Parlamento – risponde Mirabelli – può dare indirizzi che possono essere politicamente vincolanti sul governo. Il Parlamento necessariamente deve dire qualcosa per lo stato di guerra, che non è mai stato pronunciato finora. Nell’esperienza che viviamo le guerre però non vengono dichiarate e la guerra è un fatto e non un atto giuridico. C’è una spirale nella quale si entra con singoli interventi, che poi esplodono in situazioni belliche: è la ’guerra mondiale a pezzi” di cui parlava Papa Francesco». Di principio, in ogni caso, «il nostro Paese non partecipa ad atti di guerra». Poi «ci sono accordi internazionali, c’è un principio di collaborazione con gli Usa e c’è la presenza in Italia di basi che sono in uso alla Nato e agli Usa, a Sigonella in particolare. Io credo possano utilizzarle, evidentemente non senza che ne abbia conoscenza e consenso il governo».

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