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Home » Dazi, jeans Usa nel mirino delle contromisure Ue. Ma tutti producono nel Far East
Società

Dazi, jeans Usa nel mirino delle contromisure Ue. Ma tutti producono nel Far East

Sala NotizieBy Sala Notizie12 Aprile 20254 Mins Read
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Dagli Usa in Italia solo 11 milioni di euro di denim importato

La quota del denim made in Usa importata nell’Unione Europea è irrisoria: 19,3 milioni di euro in valore nel 2024. Circa la metà di questo import va in Italia: 10,8 milioni di euro nel 2024 (inclusi i tessuti), di cui oltre 7 milioni di valore di pantaloni da donna importati secondo i dati di Confindustria Moda-Federazione Tessile Abbigliamento.

Alberto Candiani, titolare di Candiani Denim, azienda che produce tessuti in denim di alta qualità e fu fondata da Luigi Candiani alle porte di Milano nel 1938, conferma l’irrilevanza delle produzioni Usa nello scenario attuale del denimwear. Oggi Candiani è una società internazionale – con tanto di centro di ricerca e sviluppo di California, la culla del denim – che fornisce tessuti ai brand di denimwear di fascia premium e lusso. «Agli Stati Uniti dobbiamo il 35% del nostro fatturato, ma i clienti che producono negli Usa sono solo quattro, per un giro d’affari di circa quattro milioni di euro – dice l’imprenditore – gli altri comprano il tessuto da noi e poi confezionano i capi in Estremo Oriente: Pakistan, Cina, Bangladesh. I prodotti finiti venduti in Europa, poi, non ripassano dagli Usa quindi l’impatto sarebbe veramente minimo». Candiani evidenzia un’ulteriore contraddizione: «I pochi brand di fascia alta che sono rimasti negli Usa avranno un aumento del costo del tessuto, che comprano in Italia, e anche del costo del prodotto finito che esportano in Europa».

Il rischio del doppio dazio sui brand di nicchia

A oggi i tessuti di Candiani Denim (azienda nota anche per la ricerca nella sostenibilità, ndr) sono soggetti a dazi all’import negli Usa che vanno dal 12 a oltre il 20 per cento a seconda della composizione del tessuto. Dal 9 aprile, teoricamente, a queste percentuali si sommerà il 20% imposto da Trump. E non è l’unico effetto negativo della mossa del governo Usa: «I nostri principali clienti sono, come già detto, americani che producono nel Far East, in quei mercati che Trump ha colpito con dazi anche al 39 per cento. Il timore è che, per non spostare le produzioni, vadano a risparmiare sul tessuto». Secondo Candiani è praticamente impossibile che i grandi brand a stelle e strisce rilocalizzino negli Stati Uniti, come vorrebbe Trump: «Si sono perse le competenze. Alcuni stanno pensando di rilocalizzare nei Paesi della fascia mediterranea che sono stati colpiti dai dazi più bassi, al 10%, come Egitto e Turchia. E ci stanno chiedendo aiuto per trovare eventuali fornitori in loco».

Difficile che gli Usa tornino a produrre i loro jeans

Anche Fabio Adami Dalla Val, show manager di Denim Première Vision, fiera dedicata al denim in programma a Milano il 21 e 22 maggio 2025, conferma la scarsa centralità degli Stati Uniti nella geografia aggiornata del jeans: «Il primo esportatore di denim, sia di tessuto sia di prodotto finito, verso Europa e anche Stati Uniti è il Bangladesh, seguito da Cina, Turchia e Pakistan – spiega Adami Dalla Val -. Negli Stati Uniti non ci sono più né grandi produzioni di tessuto né grandi aziende manifatturiere, tanto che il cotone americano con cui viene fatto il denim è soprattutto esportato, ed è impensabile che possano coprire anche solo i volumi acquistati negli Usa riportando in loco le fabbriche. Non ce la farebbero nemmeno nell’arco di dieci anni». Secondo Adami Dalla Val, di fronte a un contro dazio del 25% i marchi del denim Usa «farebbero entrare le merci in Europa direttamente dai Paesi produttori, quindi senza applicazione di dazi, attraverso le ocietà sussidiarie che hanno già in Europa». A Denim Première Vision ci saranno 80 aziende da 18 Paesi: «Dopo il 2 aprile non abbiamo avuto cancellazioni – spiega lo show manager – ma le aziende si stavano già confrontando con un periodo complesso: il mercato del denim, che nel 2030 dovrebbe toccare i 95 miliardi di dollari al sell out, era già in difficoltà. Alcuni brand, anche americani, stanno mettendo in stand by progetti, in Italia e anche altrove, nel Far East per esempio, ma penso sia solo una mossa temporanea».

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