Esce il 6 ottobre per Solferino, in libreria e in edicola, il romanzo della scrittrice triestina. Una donna sola scrive a chi ama: vi ricorda qualcosa? Forse. Ma il messaggio questa volta è un altro
Annunciato come il nuovo Va’ dove ti porta il cuore, il romanzo di Susanna Tamaro, Il vento soffia dove vuole, in uscita il 6 ottobre per Solferino, si iscrive in un percorso coerente ma nello stesso tempo molto complesso che la scrittrice, triestina di nascita, ha compiuto in questi trent’anni di militanza letteraria. La forma epistolare, nel 1994 la lettera scritta da una nonna alla nipote, oggi da una madre e moglie giunta alla soglia di una compiuta maturità alle figlie e al marito, favorisce il gioco dei rimandi. Così come la doppia lettura cui si prestano tutti i romanzi di Tamaro: da un lato una trama semplice scritta con stile trasparente che attrae proprio in virtù dell’essenzialità, dall’altro il difficile percorso che comporta una ricerca spirituale che diventa sempre più evidente con l’avanzare del racconto. A questi due elementi l’autrice ha aggiunto in questo suo nuovo libro la critica ai tanti aspetti di una società secolarizzata, materialista fino al limite della cecità, di cui ha continuato a dare testimonianza negli articoli scritti prima per «Avvenire» e oggi per il «Corriere della Sera». Un punto di vista anticonformista che prende di mira la burocrazia, il disprezzo per la natura, i programmi di una scuola pubblica inadeguati a un compiuto percorso formativo, la superficialità dei rapporti in un mondo tutto centrato sull’iperconnessione, infine la mancanza del sacro, che ci rende tutti più poveri.
Sono sei anni che Chiara con la sua famiglia vive in una casa delle colline parmensi. La scelta di quest’abitazione corrisponde alla nuova e tranquilla fase della vita cominciata dopo un grosso trauma. Per la prima volta Chiara e i suoi hanno deciso che dopo aver festeggiato il Natale assieme ognuno trascorrerà le vacanze come meglio crede. La figlia maggiore, Alisha, che è stata adottata, andrà in viaggio con il fidanzato, la secondogenita Ginevra a Cortina con le amiche, il piccolo Elia, ultimo arrivato, sarà ospite di un amichetto e Davide, un medico, con i suoi vecchi sodali, partirà per un’escursione in alta montagna. Chiara, alla soglia dei sessant’anni, ha deciso di rimanere a casa. Avverte il passare del tempo e sente giunto il momento di fare i conti con sé stessa scrivendo tre lunghe lettere, ad Alisha, a Ginevra e a Davide. Un po’ il suo testamento spirituale.
Alisha, che significa benedetta da Dio, è una bambina indiana abbandonata dalla madre. Chiara con Davide, dopo una estenuante trafila burocratica durata cinque anni, andrà a prenderla in un orfanotrofio di Calcutta. A lei, con un carattere solare che rispecchia il nome, la nuova mamma vuole spiegare i motivi dell’adozione. Lo fa partendo dal trauma di un aborto cui si è sottoposta l’ultimo anno di liceo dopo una storia finita male con un brillante leader studentesco. Una fiamma di gioventù che l’ha bruciata e che l’ha spinta a chiudersi in sé stessa, in una solitudine confortata soltanto dagli studi totalizzanti per la biologia. Fino all’incontro con il futuro marito Davide: lei impiegata in una casa farmaceutica, lui pediatra in ospedale. La coppia non riesce ad avere figli e allora decide per l’adozione. Chiara confida ad Alisha che lei come tante era stata spinta a «rimuovere il problema» (della gravidanza), cosa che non aveva fatto la madre naturale della bambina abbandonata e proprio per questo da non giudicare con severità.
Ciascuna delle tre parti in cui è diviso il romanzo ha delle pagine sapienziali. Ad Alisha Chiara parla del termine sanscrito Samdhya, che descrive l’incontro degli opposti, il momento in cui il buio della notte incontra la luce del giorno: in qualche modo è la stessa condizione umana spesso sospesa nell’ambiguità della penombra, base di partenza per un cammino originale. In questo ci aiuta lo Shivasankalpa, l’elargizione della grazia che ci viene in soccorso quando ci troviamo davanti al muro delle sfide più ardue.
Quando Chiara ha compiutamente maturato la scelta dell’adozione, rimane incinta di Ginevra, che ha un nome da regina ed è l’opposto di Alisha. Quanto questa accetta tutto come un dono, la sorella ritiene che ogni cosa le sia dovuta. Più che alla madre, si lega ai nonni materni, altoborghesi piuttosto aridi, che non hanno costituito un modello per Chiara, che fece in modo di farsi cacciare dal collegio di Poggio Imperiale a Firenze, rifiutò di iscriversi a Legge per ereditare lo studio del padre, sposò un medico, sì, ma proveniente da un contesto umile. Ginevra invece adora i ritratti di famiglia, che descrivono ormai una grandeur decaduta, è attratta dai valori materiali, è sempre attaccata al telefonino. L’opposto della madre, che però le scrive: forse siamo simili proprio per l’arte di nasconderci e il rifiuto delle origini. Ognuno deve essere libero di compiere il suo percorso.
C’è infine la lettera a Davide, il marito pediatra definito «l’uomo lego», l’uomo che costruisce: benché non sia cresciuto come la moglie in una casa con librerie piene di classici, ma in una semplice famiglia di un paese molisano, ha una statura morale e un bagaglio di valori spirituali che trasmette alla moglie. È lui ad avvicinarla alla religione, imponendo un matrimonio in chiesa reso possibile da una dispensa vescovile, perché la futura sposa non è stata battezzata. Lo sarà assieme all’ultimogenito Elia, cui viene dato il nome del profeta che sa distinguere il bene dal male. A celebrare il doppio battesimo è Gianfranco, il cugino di Davide, che dopo una gioventù scapestrata divenne frate benedettino grazie agli insegnamenti di Charles de Foucauld, il religioso francese missionario nella terra dei Tuareg. Dio ama i ribelli, diceva il visconte diventato missionario. Per conquistare la fede non occorrono atti di conformismo ma piuttosto atti di ribellione e percorsi originali. Come quello compiuto da Hildegard von Bingen, la bambina del XII secolo entrata in un monastero che ha scritto pagine indelebili di botanica, medicina, astronomia, medicina, musica. Lei nata nei secoli bui, in un mondo che soffocava le donne. È la possibilità di costruire un proprio destino originale il vero messaggio di questo libro, perché «il vento soffia dove vuole».
In libreria e in edicola dal 6 ottobre
Il nuovo romanzo di Susanna Tamaro, «Il vento soffia dove vuole», esce il 6 ottobre pubblicato da Solferino (pp. 238, in libreria euro 17, in edicola con il «Corriere della Sera» euro 15 più il prezzo consueto del quotidiano).
I 30 anni di «Va’ dove ti porta il cuore» e il concorso
Era il 1994 e usciva, allora per Baldini&Castoldi, quello che sarebbe diventato un caso editoriale straordinario: «Va’ dove ti porta il cuore», di Susanna Tamaro. Trent’anni dopo e mentre esce il romanzo che ne raccoglie l’eredità, «Il vento soffia dove vuole», Solferino lo ripubblica in una nuova edizione (pp. 186, in libreria euro 15, in edicola euro 13 più il prezzo del «Corriere»). E al libro si lega un concorso che invita i lettori a scrivere la loro «lettera del cuore». C’è tempo fino al 9 ottobre per caricare le lettere e votarle. Poi la giuria sceglierà tre vincitori che saranno premiati a BookCity Milano, (dal 15 al 19 novembre) alla presenza di Susanna Tamaro. Regolamento completo qui.
L’incontro a Padova
Giovedì 5 ottobre Susanna Tamaro presenta «Il vento soffia dove vuole» a Padova, in occasione della Fiera delle parole 2023 (ore 19, Padova Fiere, Padiglione 11, Sala A). Dialoga con l’autrice, Nicolò Menniti-Ippolito.
5 ottobre 2023 (modifica il 5 ottobre 2023 | 15:34)