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Morto lo scrittore tedesco Hans Magnus Enzensberger

Novembre 25, 2022
nel Cultura
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di ANTONIO CARIOTI

Aveva 93 anni: politicamente inquieto, creativamente versatile La portavoce del cancelliere Olaf Scholz: « Con Hans Magnus Enzensberger perdiamo un grande scrittore e intellettuale tedesco, che mancherà alla Germania».

Coltivare nel contempo poesia e matematica può apparire insolito. Ma Hans Magnus Enzensberger, scomparso ieri giovedì 24 novembre all’età di 93 anni, vi aggiungeva saggistica politica, letteratura per ragazzi, teoria delle comunicazioni di massa, storiografia in forma di racconto. Era veramente un intellettuale a tutto tondo, versatile come pochi e anche molto autorevole, benché discusso, in Germania e all’estero. Per quanto talvolta opinabili, le sue prese di posizione non erano mai banali. E grande popolarità presso il grande pubblico se l’era conquistata con i libri per l’infanzia. «Con Hans Magnus Erzensberger perdiamo un grande
scrittore e intellettuale tedesco, che mancherà alla Germania», ha detto la portavoce del cancelliere Olaf Scholz, in una conferenza stampa a Berlino.

Nato l’11 novembre 1929 a Kaufbeuren, in Baviera, aveva conosciuto il Terzo Reich ed era stato arruolato nella sua milizia territoriale, ancora ragazzino, quando la guerra era ormai agli sgoccioli. Poi aveva studiato in diverse università, compresa la Sorbona, e aveva partecipato al Gruppo 47, frequentato da giovani letterati innovatori (tra cui i futuri premi Nobel Heinrich Böll e Günter Grass) che intendevano risvegliare la cultura tedesca repressa dal nazismo.

Acuta era in lui l’insoddisfazione per come la Germania occidentale stava rimuovendo il passato, concentrandosi sul perseguimento del benessere materiale. Un motivo che emerge con forza nella prima raccolta di poesie pubblicata da Enzensberger nel 1957, dal titolo Difesa dei lupi (in parte tradotte, insieme ad altre, da Franco Fortini e Ruth Leiser nel volume Poesie per chi non legge poesia, edito da Feltrinelli nel 1964). Da autentico «giovane arrabbiato», l’autore si scagliava contro le «pecore», i comuni cittadini conformisti inebetiti dalla società dei consumi, e prendeva paradossalmente le parti dei «lupi» oppressori e sfruttatori.

Questo genere di sarcasmo torna spesso nei suoi componimenti giovanili, mentre con il tempo prende il sopravvento una vena di tipo apocalittico, che si esprime appieno in quello che è considerato da molti il capolavoro in versi di Enzensberger, La fine del Titanic (Einaudi, 1980): un testo comprendente 16 poesie e 33 canti, ispirato a Dante (l’Alighieri vi compare tra i personaggi evocati dall’autore), in cui la tragedia del transatlantico affondato da un iceberg nel 1912, richiamata con ricchezza di particolari, diventa la metafora del destino che attende un mondo in cui le speranze di progresso si sono rivelate illusorie.

Nel frattempo Enzensberger aveva trascorso in maniera molto intensa la stagione conflittuale degli anni Sessanta, con la contestazione giovanile, il ritorno dell’utopia, le infatuazioni terzomondiste. Fondatore della rivista «Kursbuch», era anche vissuto per qualche tempo a Cuba, tra il 1968 e il 1969, ma in sostanza, come si apprende dal suo libro di ricordi intitolato Tumulto
(Einaudi, 2016), non si era mai fatto incantare dal carisma istrionico di Fidel Castro. E poi aveva preso risolutamente le difese del poeta cubano Heberto Padilla, perseguitato dal regime.

Come una sorta di riflessione disincantata sul mito rivoluzionario può forse essere interpretato il libro di Enzensberger La breve estate dell’anarchia (Feltrinelli, 1973), in cui viene ricostruita attraverso testimonianze e documenti la vicenda di Buenaventura Durruti, leader libertario di umili origini morto in circostanze mai del tutto chiarite nella prima fase della guerra civile spagnola. Pur mostrando grande ammirazione per gli anarchici iberici («gente che non ha mai capitolato») e disprezzo per i loro nemici franchisti e stalinisti, l’intellettuale tedesco ne metteva in rilievo l’impreparazione politica: «Il loro orizzonte non superava mai la prossima barricata».

Man mano le tesi di Enzensberger si erano evolute: anche i suoi versi, pur sempre ironici e critici verso la società contemporanea, si erano fatti Più leggeri dell’aria come recita il titolo della raccolta di poesie (tradotta da Einaudi nel 2001) che aveva pubblicato in occasione del suo settantesimo compleanno. E sul terreno politico aveva assunto posizioni che gli avevano alienato molte simpatie a sinistra: nel 1991 aveva paragonato Saddam Hussein ad Adolf Hitler e nel 2003 aveva criticato i pacifisti ostili all’invasione dell’Iraq, attirandosi la reazione polemica di Grass.

In seguito aveva analizzato la vocazione nichilista del fondamentalismo islamico nel saggio Il perdente radicale
(Einaudi, 2007). E più di recente, con il pamphlet Il mostro buono di Bruxelles (Einaudi, 2013), aveva preso di mira la deriva burocratica e paternalista, se non proprio autoritaria, dell’Unione Europea, incline a rieducare noi cittadini degli Stati membri prendendosi cura «della nostra salute, dei nostri comportamenti e della nostra morale».

Interessante anche il modo in cui era mutato l’atteggiamento di Enzensberger verso la televisione, citato fra l’altro nel film di Nanni Moretti Caro diario. Partito dall’ipotesi che il piccolo schermo potesse divenire strumento di una «politica della liberazione», era giunto alla conclusione radicalmente opposta che si trattasse in realtà di un «medium-zero», fatto non per trasmettere contenuti, ma semplicemente per consentire allo spettatore di evadere e rilassarsi, entrando in una sorta di «nirvana». Si faceva quindi beffe dei politici ossessionati dall’occupazione di uno spazio televisivo che a suo parere (per la verità molto contestato) rappresentava in realtà un «vuoto perfetto», impossibile da colonizzare.

Ormai lontano dall’impegno politico diretto, il poeta tedesco conservava tuttavia una notevole passione culturale. Il suo più noto bestseller,
Il mago dei numeri (Einaudi, 1997), era nato dall’intento educativo di rendere la matematica più accessibile ai bambini e in fondo anche agli adulti. Enzensberger trovava assurda la separazione rigida tra scienza e umanesimo, riteneva inconcepibile che persone colte quasi si vantassero di non capire nulla di equazioni e teoremi: gli sembrava una forma di «castrazione intellettuale». E sempre ai ragazzi aveva poi dedicato Ma dove sono finito?
(Einaudi, 1998) libro in cui Robert, lo stesso protagonista del Mago dei numeri, si trova a viaggiare nello spazio e nel tempo attraverso diversi periodi storici. Forse era anche un’allegoria del lungo itinerario compiuto dallo stesso Enzensberger fra le contraddizioni, le meraviglie e le follie della nostra epoca.

25 novembre 2022 (modifica il 25 novembre 2022 | 15:22)

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