Le tesi del nuovo saggio dello scienziato cognitivo Andy Clark: modelliamo il mondo in base alla nostre aspettative, la vera esperienza quella che sorprende
C i sono filosofi che hanno rappresentato la mente come una tavola vergine, una pagina bianca su cui si iscrivono le impressioni: su tutti, l’esempio John Locke. Ci sono altri filosofi che invece ritengono che la nostra esperienza abbia gi avuto luogo in un’altra vita, attraverso la visione delle idee precedente l’incarnazione, e che l’esperienza attuale non che il ricordo, pi o meno fedele, di quella prima esperienza extracorporea: il caso di Platone. A met strada ci sono tutti gli altri. Quelli che ammettono che tutta la conoscenza ha inizio, quanto al tempo, con l’esperienza, che per non si depone su un foglio vergine, ma su strutture preesistenti, conformi all’organizzazione della ragione (come in Kant) o risultanti da un processo evolutivo (come la maggior parte di coloro che hanno affrontato questo argomento dopo Darwin).
Andy Clark, in The Experience Machine (Pantheon Books) appartiene a questa schiera, cio abbraccia una visione largamente condivisa, anche se tiene a presentare la propria versione come eterodossa. In ci manifesta una tendenza a sopravvalutare il potenziale innovativo delle sue idee che gli ha portato molta fortuna, sin da quando, negli anni Novanta, elabor, insieme al filosofo australiano David Chalmers, la controversa teoria della mente estesa, secondo cui la mente non si identifica con il cervello o con il corpo, ma con l’intero contesto in cui si trova, compresi gli apparati tecnici di cui si serve. Anche in questo caso, sebbene, come ho detto, la dottrina ha prodotto accese discussioni che hanno proiettato Clark e Chalmers nel firmamento filosofico, si trattava della amplificazione di considerazioni di senso comune.
Non sorprende nessuno che certi calcoli, difficili da fare a mente, si risolvano facilmente attraverso il ricorso a un supporto esterno, sia esso carta e penna, o un abaco, o il calcolatore del nostro telefonino. Del pari, non sembra precisamente una grande novit la considerazione per cui l’educazione e la societ determinano il nostro modo di pensare: e se desideriamo battezzare teoria della mente estesa l’azione dell’esterno su ci che (piuttosto problematicamente, visto che non stiamo parlando di un homunculus asserragliato al centro del cervello e difeso dalla scatola cranica) chiamiamo interno, bene, nessuno ce lo pu vietare. Fermo restando che non si vede il motivo per definire estesa, sino a comprendere gli strumenti di cui si avvale, una mente che , piuttosto, incorporata, nel senso che i nostri pensieri sono quelli che sono anzitutto perch hanno luogo in un corpo dotato di certe caratteristiche, e attrezzata, ossia ha la propensione, esclusiva dell’animale umano, di potenziare le proprie prestazioni, tanto manuali quanto intellettuali, attraverso il ricorso a protesi tecniche di varia natura.
Dunque, nulla di nuovo sotto il sole, ma sicuramente molte cose, vecchie e nuove, su cui vale la pena di riflettere per capire come avviene la nostra esperienza del mondo. Come dicevo, la tesi fondamentale di Clark che la mente non costituisce il recettore passivo di esperienze esterne, ed piuttosto un apparato predittivo che formula ipotesi rispetto all’esperienza e ne cerca la conferma. Cos facendo, una struttura che stata determinata da una lunghissima storia evolutiva proietta delle anticipazioni sul mondo, e d avvio a un processo di conferme e smentite che rafforzano o indeboliscono dei sistemi di anticipazione. In questo processo, cos, la mente non passiva, ma attiva e, soprattutto, non esercita una funzione esclusivamente cognitiva, ma si manifesta attraverso l’azione, che (d’accordo con una intuizione ascritta a William James) anzitutto una sorta di scommessa in cui si prefigura, attraverso l’immaginazione, un atto che verr poi effettivamente compiuto. Anche in questo caso, la riuscita dell’azione funge da conferma, e il fallimento da smentita, con un processo che condizioner azioni future.
James, insieme a Helmholtz e Lotze, costituisce uno dei pochi antenati riconosciuti di una teoria che tuttavia, come abbiamo visto, ha un lungo passato filosofico. Basti dire che la copertina del libro, che appare come una superficie con delle pieghe su cui si proietta il titolo, una rappresentazione involontaria del misto tra innatismo ed empirismo che Leibniz contrappone a Locke nei Nuovi saggi sull’intelletto umano: vero che le esperienze vengono dall’esterno, ma queste non si proiettano su una superficie neutra e piatta, ma piuttosto su un supporto pieghettato, come la luce su una quinta di teatro, ricevendo la propria forma specifica appunto dalle pieghe del fondale che le accoglie.
E quanto alla natura predittiva della mente, certo da pedanti, ma non illegittimo, ricordare che Kant aveva descritto un sistema di princpi primi dell’esperienza che la precedono e la determinano, appunto svolgendo quella azione predittiva che Clark rivendica come una delle grandi conquiste delle neuroscienze contemporanee. All’osso, Kant aveva sostenuto che prima di ogni esperienza la nostra sensibilit equipaggiata da due forme pure, lo spazio, il tempo, che non derivano dall’esperienza ma la rendono possibile. Aveva anche detto che il nostro intelletto dotato di un certo numero di princpi primi che, di nuovo, precedono l’esperienza con una funzione, per cos dire, costruttiva e proiettiva, e si riferiva in particolare alla sostanza come permanenza di qualcosa nel tempo e alla causalit come successione di eventi. Cos facendo, contestava molti filosofi che lo avevano preceduto e si esponeva alle critiche di altrettanti filosofi venuti dopo di lui. Resta che idee kantiane come il fatto che prima di ogni esperienza possiamo anticipare che sar intensa, debole o nulla, ossia avr un certo grado, non solo appaiono difficili da contestare, ma risultano perfettamente in linea, sebbene siano state pubblicate nel 1781, con quanto Clark nel 2023 ci presenta come un inventum magnum.
Se dunque il libro di Clark si fa apprezzare non tanto per l’impianto teorico, che non affatto cos originale come pretende il suo autore, n (e sarebbe assurdo pretenderlo da uno scienziato cognitivo) per la consapevolezza degli antefatti storici della dottrina, quanto piuttosto per l’ampia messe di esempi sperimentali addotti a prova della teoria della mente anticipatrice e attiva. Studenti che ascoltano una serie di segnali sonori disturbati e sono invitati a dire se riconoscono un brano musicale che gli stato indicato come il testo nascosto in questo rumore bianco (e molti lo riconoscono, appunto perch ci sono delle attese che chiedono di essere soddisfatte). Professori (lo stesso Clark, nella fattispecie) che sentono il cinguettio della sveglia della loro compagna anche se la stanza completamente silenziosa solo perch sono abituati a quel suono mattutino, e se lo aspettano ( la famosa e
xpectatio casuum similium, l’attesa di casi simili, che era gi contemplata dalla psicologia della Scolastica). O che sentono il telefonino vibrare prima di una conferenza semplicemente perch l’adrenalina accumulata genera una percezione fantasma. Operai che, dopo essere caduti dall’alto su un filo d’acciaio teso che ha tagliato la suola dello scarpone sinistro, patiscono le pene dell’inferno che non vengono sedate neppure dai pi potenti analgesici come se si fossero effettivamente feriti il piede, anche se i medici si accorgono che l’arto illeso e si tagliata soltanto la suola (purtroppo Clark non ci dice se la constatazione che il piede era illeso abbia fatto cessare il dolore nel presunto ferito).
Tutto questo dimostra che, nelle parole di Clark, Il mondo quale lo vediamo e lo sentiamo modellato, in parte, dalle nostre aspettative (consce o inconsce). Il che, di nuovo, una tesi che nessuno si sentirebbe di contestare, e che diverrebbe interessante solo se precisasse in che misura prevalga l’innato e dove invece abbia la meglio l’esperienza. Tuttavia, rispetto alle classiche teorie della esperienza come mescolanza di attesa e di stati di fatto, Clark aggiunge un elemento, di importanza non trascurabile, e cio che l’esperienza rilevante proprio nei casi in cui falsifica le nostre attese invece che confermarle. Il che permette a Clark di disegnare una dottrina altamente economica del funzionamento psichico, per cui, dato un quadro di costanti, parte innate e parte acquisite, l’esperienza vera e propria, quella che cambia, quella che sorprende, venendo a modificare il quadro preesistente anche per un minimo particolare.
Come tutto questo si colleghi con la teoria della mente estesa non evidente (nel senso che la tesi regge sia nella ipotesi di una mente identificata con il cervello, sia in quella di una mente espansa sino a includere parti di un ambiente), e da questo punto di vista non mi chiaro perch, nella seconda parte del suo libro, Clark ritorni sulla teoria che lo ha reso famoso. E in generale si ha l’impressione che questo libro non succinto avrebbe potuto essere molto pi breve senza perdere nulla di ci che lo rende meritevole di essere letto, e cio l’abbondanza di esempi e la formulazione della tesi di una esperienza che davvero tale quando smentisce piuttosto che confermare le nostre alternative.
Si tratta di una trasposizione nell’ambito della teoria della esperienza del falsificazionismo che Karl Popper aveva reso celebre nel campo della teoria della scienza, sostenendo che una tesi effettivamente scientifica solo se c’ la possibilit che l’esperienza la confuti: vale a dire che (potenzialmente) scientifico discettare della gradazione dei vini, ma non del sesso degli angeli. Ma anche qui, a voler essere pignoli, non bisogna dimenticare che Popper si era formato in quello stesso mondo filosofico viennese in cui era sorta la psicologia della Gestalt. E che cosa ci insegna questa psicologia? Di nuovo, l’inventum magnum di Clark, ossia il fatto che l’esperienza non un flusso disordinato di sensazioni, ma obbedisce a leggi proprie, fondate e robuste, al punto da poter resistere alle nostre aspettative, circostanza che viceversa, nel caso di una esperienza vorticosa e pulviscolare come quella descritta dall’empirismo da Bacone in poi, non si riuscirebbe a spiegare.
In conclusione, sar anche vero che ci sono pi cose fra la terra e il cielo che in tutte le nostre filosofie, ma altrettanto vero che, solitamente, ci sono pi cose in tutte le nostre filosofie di quanto i singoli filosofi, innamorati delle proprie invenzioni vere o presunte, non siano disposti ad ammettere. Una volta riconosciuta questa circostanza, il libro di Clark perde molta della sua originalit, ma merita comunque di esser letto, non pi come smentita, ma come conferma, di tante intuizioni della filosofia e del senso comune a proposito della natura dell’esperienza.
24 agosto 2023 (modifica il 24 agosto 2023 | 22:09)