Esce il 6 ottobre «Bucce di banana» (Solferino) che rievoca scandali e trame di un’Italia in forte crescita economica ma ostaggio della guerra fredda. La nuova avventura del giornalista Carlo Passi
Bucce di banana, il libro di Gabriella Colla e Daniele Manca edito da Solferino, è, in primo luogo, un monito contro il più facile dei sentimenti umani, la nostalgia. Stato d’animo perfettamente giustificabile quando ha a che fare con il proprio tempo di vita, con i giorni vissuti, con le persone e le sensazioni scomparse. Altra cosa è quando la nostalgia si estende invece al giudizio storico, confondendo i piani e immaginando che gli eventi accaduti possano essere illuminati, e addolciti, dal rimpianto per la propria giovinezza. È quanto accade, nel dibattito pubblico, sul passato del nostro Paese. Si finisce con l’aver nostalgia di cose, eventi, personaggi, dinamiche che tutto meritano fuorché essere indicate come «i migliori giorni della nostra vita». Si ha ad esempio ragione di ricordare con rispetto e nostalgia la passione civile diffusa, il tono del discorso pubblico, il livello dei gruppi dirigenti forgiati, spesso, nel fuoco della lotta per riconquistare la libertà perduta. O anche dello spirito di ricostruzione che rimosse le macerie e trasformò in un quindicennio, il primo dopo la fine della guerra, l’Italia in un grande Paese.
Ma per il resto… Colla e Manca, usando la forma narrativa di un avvincente romanzo giallo, ci riportano brutalmente nel cuore dei magnifici anni Sessanta. Che sono stati davvero magnifici. Ma soprattutto sul piano sociale, culturale, delle libertà che si acquisivano, della sensazione ottimistica del futuro che pervadeva l’animo collettivo. Ma non era solo la stagione di Sapore di sale e di From me to you, della minigonna e della conquista dello spazio.
Erano anche tempi, specie in Italia, di intrighi e di malaffare. All’ombra della guerra fredda tutto sembrava possibile. Il sistema politico italiano era bloccato in un impasto di instabilità e dominio assoluto di un partito sempre e comunque al governo. Quel decennio si era aperto con l’avventura del governo Tambroni, con la successiva faticosa gestazione del centrosinistra, con il tentativo di De Lorenzo volto a condizionare militarmente il corso della vita politica.
Colla e Manca ci riportano ai giorni del 1963, l’anno della morte di Giovanni XXIII e di John Kennedy, quando esplode il primo grande scandalo politico amministrativo della nuova Repubblica (quello Montesi aveva altre caratteristiche). Già dal nome evocava qualcosa a metà tra il comico e il coloniale: lo «scandalo delle banane». Fu una vicenda legata a una gara in cui le imprese concessionarie del monopolio dell’importazione seppero in anticipo i valori dell’asta alla quale partecipavano e fecero offerte precise alla lira. Furono arrestati loro e il presidente dell’Amb, Azienda monopolio banane, che altro non era che la prosecuzione della struttura edificata nel 1935 dal fascismo. Si chiamava addirittura nello stesso modo; era solo caduta, per decenza, la prima parola: Regia.
I responsabili furono processati e pagarono con pene irrilevanti, si dice per intercessione dell’onnipresente Andreotti. Dice uno dei personaggi di Bucce di banana, un magistrato: «Perché dovrebbe esserci il monopolio delle banane, in Italia, ora? Perché dovremmo importarle solo dalla Somalia? Perché il prezzo deve essere fissato dal governo? Il ministero delle Colonie, o meglio il ministero dell’Africa è stato soppresso dieci anni fa, mi pare…».
Il romanzo si apre nelle stanze di un ipotetico, ma non tanto, ministro delle Finanze dell’epoca il cui nome è stato modificato da Trabucchi in Tabacchi, in riferimento beffardo allo scandalo che seguirà quello delle banane, lo scandalo del tabacco.
Ma da qui Colla e Manca fanno partire una storia nera come il petrolio. Non per caso il protagonista è un giornalista del «Giorno», il magnifico giornale posseduto dall’Eni, che, pur essendo di pubblica proprietà, segnò una stagione, fin dalla direzione di Baldacci, di grande vitalità e libertà.
Il libro è immerso nella Milano che cambia pelle, quella dei primi anni Sessanta. C’è la televisione con il maestro Manzi e le persone che si ritrovano per imparare a leggere e scrivere, c’è l’irruzione della pubblicità come simbolo della ricchezza e della possibilità di consumare, c’è la conquista del bagno interno agli appartamenti, l’arrivo delle lavatrici e degli abiti confezionati Lebole o Rhodiatoce. La società affluente, in cui le cambiali erano segno di ottimismo, che spargeva sogni e possibilità, aveva in Milano, già allora, la sua capitale.
Ma sotto questa coltre si agitavano i mostri del passato. In fondo la guerra civile era lontana solo un mucchietto di anni, meno di quanto separi noi dall’abbattimento delle Torri Gemelle. E quella storia non era ancora nelle pagine dei libri, ma nella vita delle persone, nelle ferite delle famiglie, nel dolore, talvolta nell’orrore, vissuto con i propri occhi. Strappi non rimarginati, in fondo non lo sono ancora oggi.
Bucce di banana ha il grande merito di restituirci questa complessità, di strappare l’immagine edulcorata di un tempo che in realtà aveva, come Stranger Things, un mondo di sopra, fatto di jukebox e ombrelloni riminesi e uno di sotto, composto da gruppi paramilitari, complotti ed efferate violenze tollerate e garantite dalla totale impunità, conseguita in ragione della guerra fredda.
È il tempo di morti misteriose, come quella di Mario Tchou, l’ingegnere della Olivetti che stava sfidando sul terreno dei computer gli americani, o quella di Enrico Mattei, che si era messo contro le sette sorelle del petrolio e chissà chi altro ancora sul piano interno. Tutti e due morti in fortuiti incidenti, naturalmente.
Il romanzo trascina il lettore nella vischiosità di quei giorni, nella violenza nascosta sotto la crosta della normalità, nel sistema di ricatti e di condizionamenti che pesava sulla vita pubblica. I protagonisti sono giornalisti, magistrati, spioni, mogli e mamme, amici del bar del quartiere, funzionari dello Stato graduati e deviati. L’atmosfera dominante è cupa, notturna e per questo insolita, originale.
Gli autori entrano ed escono dalla realtà, citano Enzo Biagi e Craxi, e talvolta camuffano nomi e circostanze. Perché i due mondi, quello di sopra e quello di sotto, si toccano costantemente, anche senza vedersi.
Bucce di banana è un romanzo su quegli anni, un racconto dei giornali com’erano, di Roma e Milano con i loro pregi e difetti, di persone segnate dal passato e con un piede nel futuro, di intrighi rivoltanti e di bisogno di verità. È un romanzo nero, ambientato in un tempo apparentemente giallo come il sole.
Il volume
Esce il 6 ottobre il romanzo di Gabriella Colla e Daniele Manca Bucce di banana edito da Solferino (pagine 285, euro 18). Si tratta di una storia ambientata nel 1963, ispirata in parte a fatti realmente accaduti nel nostro Paese. Il protagonista è il giornalista milanese Carlo Passi. Gabriella Colla, laureata in Fisica, lavora nella Pubblica amministrazione. Con Daniele Manca ha scritto il romanzo Un cadavere in redazione (Solferino, 2020). Daniele Manca è dal 1994 al «Corriere della Sera», di cui è vicedirettore ed editorialista. Ha pubblicato il romanzo La Rossa (Rizzoli, 2017) e con Gustavo Ghidini il saggio La Nuova Civiltà Digitale (Solferino, 2019)
3 ottobre 2023 (modifica il 3 ottobre 2023 | 21:24)