L’arresto nel 1943, la famiglia: esce marted 3 ottobre per Rizzoli Vita mia, cronaca degli anni trascorsi con i genitori e le sorelle a Nagoya
Come ci ha insegnato Primo Levi, raccontare la propria sopravvivenza un esercizio estremo, e qualche volta a certi autori non basta una vita intera per essere pronti. E forse anche per questo motivo che a Dacia Maraini sono stati necessari decenni di gestazione prima di scrivere questo bellissimo Vita mia, in libreria da marted 3 ottobre per Rizzoli. Non un romanzo, ma del romanzo ha l’andamento lineare e aggraziato che si ritrova in tanti libri della scrittrice oggi ottantaseienne. Non un vero e proprio diario, perch — come lei stessa premette sin all’inizio — molto si basa sui racconti di Fosco e Topazia, gli amati genitori. E non nemmeno un saggio, anche se numerosi sono gli innesti di riflessione sulla storia e sul presente.
S, giunti alla seconda rilettura, Vita mia sembra proprio vestire l’abito giusto: una cronaca asciutta dove l’autrice recupera il suo sguardo di bambina (aveva appena sei anni quando tutto cominci) e racconta la sua prigionia in un campo di concentramento giapponese, assieme alla famiglia. La formula letteraria pi adatta per questo racconto: in quell’ottobre di ottant’anni fa, quando gli ufficiali giapponesi si presentarono nella sua casa di famiglia a Kyoto, Dacia era troppo giovane per poter fare oggi un resoconto minuzioso. Ma troppo grande per affidarsi unicamente al racconto dei genitori.
Maraini cuce cos ricordi lontani, antiche suggestioni, episodi tramandati in famiglia e ricostruzioni accurate per regalarci — finalmente, diranno molti dei suoi lettori che aspettavano da tempo questo libro — il romanzo della prigionia, la testimonianza di una grande intellettuale del nostro tempo che sceglie di mettersi a nudo proprio adesso e non a caso. Adesso, scrive, perch da una parte si vorrebbe dimenticare ci che non si pu dimenticare, soprattutto quando si sente che circola e si diffonde un sentimento di irritazione e di stanchezza verso la memoria, un sentimento che sentiamo come offensivo e umiliante […]. Ma un’altra voce, meno persuasiva e pi insistente, invece sprona a parlare. A dire, a rammentare, a testimoniare.
Il racconto comincia da quegli ultimi giorni d’estate del 1943, quando la famiglia Maraini viveva gi da tempo in Giappone: Fosco era uno stimato antropologo, lavorava all’Universit di Kyoto; la madre, Topazia Alliata, era bene inserita nella comunit culturale; Dacia parlava il dialetto della citt e le due sorelle minori, Toni e Yuki, trascorrevano un’infanzia serena, tra filastrocche ispirate alla saggezza giapponese e gli omochi, i dolcetti preparati dalla balia Miki. L’8 settembre cambi le sorti di tanti italiani, anche quelli residenti all’estero: i Maraini si rifiutarono di aderire alla Repubblica di Sal e divennero cos nemici del Paese dove abitavano, opponendosi al patto che il Giappone aveva appena concluso con la Germania nazista e l’Italia fascista.
Dopo un paio di settimane ci fu la deportazione, che assomiglia a tante di quelle che abbiamo imparato a conoscere dai romanzi e dai film sulla Shoah: l’arroganza sbrigativa dei militari, l’assenza di piet di fronte a tre bambine piccole, che la madre scelse di portare con s rifiutando di affidarle a un orfanotrofio, come proposto dai soldati. il primo di tanti presagi che costellano questo libro: l’orfanotrofio al quale erano destinate Dacia e le sue sorelle verr bombardato e tutti i bambini presenti moriranno.
un presagio anche l’idea di Topazia di portare con s delle lenzuola, sacrificando i vestiti, come se avesse intuito la futura utilit di cucire abiti per i carcerieri in cambio di una manciata di riso in pi. E chiss come, nella misera valigia che li accompagner nel campo di Nagoya, Topazia ebbe l’idea di mettere anche uno scialle rosso: alla fine della guerra, quando ormai erano segregati in un altro campo, senza pi carcerieri ma isolati dal resto del mondo, lo cucir a un pezzo di lenzuolo bianco e a una vestaglia verde per comporre una bandiera italiana da issare al suolo e chiedere cos aiuto agli aerei alleati che fendevano il cielo.
Il racconto della prigionia non ha nulla di enfatico, n tantomeno di retorico: Maraini sa perfettamente che il semplice resoconto delle giornate sufficiente a restituire la tragedia della guerra e delle sue vittime. I guardiani — piccole macchiette pi sciocche che malvagie — che sottraggono il cibo destinato ai prigionieri per arricchirsi sul mercato nero, le formiche ingoiate di nascosto nonostante l’inevitabile mal di pancia da intossicazione, lo scorbuto e il beri-beri che, poco per volta, erodono anche il corpo sano delle bambine, la spossatezza crescente di Topazia Alliata che denuncia macchie agli occhi e caduta di capelli, la magrezza di Fosco, uomo un tempo atletico e sportivo.
Ma la natura raffinata di questo libro risiede anche nella capacit dell’autrice di innestare le vicende e le peculiarit della sua famiglia dentro il pi ampio terreno della Storia. La parola era diventata inutile, troppo faticosa, superflua, annota. una piccola morte in una famiglia che viveva di vivaci dibattiti filosofici tra i genitori, haiku imparati a memoria dalle bambine, di un inesausto esercizio della discussione come strumento di libert e di autonomia. Senza enfasi, ma con precisione, Maraini tesse un continuo confronto tra la qualit umana e intellettuale di Fosco e Topazia e l’assurdit della guerra, del razzismo, della violenza.
qui che si ritrovano i nuclei fondanti della sua letteratura, da sempre improntata alla piet, al rispetto degli ultimi (animali compresi) e l’inesauribile energia che la porta a schierarsi, ancora oggi, contro ogni forma di sopraffazione. E si ritrova pure una particolare attenzione al femminile: i piccoli grandi gesti di Topazia, il tentativo di violenza sessuale da parte di un soldato, al quale riusc a sfuggire. Chi ha letto i suoi romanzi, rintraccer in questo Vita mia una filigrana sottile che conduce, punto dopo punto, alle opere pi importanti della scrittrice, come se in quei due anni di prigionia Dacia avesse composto i nuclei della sua poetica. Come si apre una strada nella neve vergine, citando l’incipit de I racconti della Kolyma di Varlam Šalamov, un altro splendido e tragico affresco della prigionia.
Le presentazioni
Dacia Maraini presenta Vita mia a Padova venerd 6 ottobre alle 19, nell’ambito della Fiera delle parole, in dialogo con Paolo Di Paolo; a Milano sabato 14 alle 16.30 alla Libreria Rizzoli della Galleria Vittorio Emanuele II, in dialogo con il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana; a Roma mercoled 18 alle 18.30 alla Libreria Nuova Europa I Granai di via Mario Rigamonti 100, in dialogo con Sabina Minardi.
2 ottobre 2023 (modifica il 2 ottobre 2023 | 08:59)