«Vanno tutelati beni tutt’altro che minori: la riorganizzazione del ministero offre la chance di un rilancio»: la riflessione dell’archeologo alla luce delle aree di competenza e delle linee d’intervento dei nuovi Dipartimenti
La sera baciavo la fronte di mio padre e lui mi accarezzava dicendo: «Sogni dorati fritti col burro…». L’invito a immaginare cose succulente ha segnato la mia vita, diventate poi visioni, ahimè, prive della infantile magia.
Si ha autorità nel criticare quando si sa fare: sul campo, in laboratorio, in biblioteca. Ho alle spalle sessant’anni di ricerche nell’archeologia, che ha come oggetto il Tutto materiale di una civiltà: da una traccia di centuriazione a una fogna, da un capitello a un ritratto, e ha come protagonista il gruppo di lavoro. Sul campo, da soli, si fa poco. In questa disciplina sono importanti, oltre i mezzi e il numero delle persone, il lavoro in comune, la capacità professionale, l’erudizione e l’immaginazione storica. È il capitale umano, non individualisticamente inteso, che poi è la scuola.
Il ministro della Cultura ha — con estivo decreto — riorganizzato il dicastero, contrapponendosi alle pretese superbe dei radical-chic… Lontano dalle persone che così si definiscono, seguo tutt’un’altra e più impervia strada: quella della critica costruttiva — come ho fatto di recente, sulla valorizzazione culturale e su Pompei — e così mi sono comportato con tutti i ministri del mio tempo. Esiste insomma una riflessione senza stiff upper lip — il «rigido labbro superiore» — moderatamente radicale — bell’ossimoro! — che invita a ragionare insieme. Altrimenti, ultima spes, i posteri…
Se il ministero è ormai della Cultura, essa va intesa negli aspetti umanistico e scientifico: il secondo aspetto è carente nell’amministrazione per storiche ragioni. Il ministro ha istituito nuovi «Dipartimenti», ancora senza titolo, salvo forse uno («Arti e Valorizzazione»). Ne approfitto per riflettere al riguardo, premettendo che la valorizzazione dovrebbe permeare tutte le articolazioni del ministero. A parte lo Spettacolo e gli Archivi e biblioteche — di cui poco so — due principali settori si parano davanti: il Paesaggio — a cui si è aggiunto l’Ambiente per integrazioni alla Costituzione — nominato per primo nel famoso articolo 9 — e il Patrimonio storico e artistico(non storico-artistico), nominato per secondo: da una costruzione a un torchio, da una pittura a una saliera.
Nel primo settore — quello del Paesaggio/Ambiente — dovrebbero operare non semplici architetti ma specialisti nella pianificazione del paesaggio (disciplina architettonica ma anche più latamente umanistica) e nel suo fondamento ambientale (disciplina scientifica), capaci di redigere un «Piano paesaggistico di regione», quindi anche di criticarlo e approvarlo. In uno Stato degno del nome, ove una regione non redigesse per decenni un piano paesaggistico, il ministero dovrebbe poterne surrogare la funzione. Il problema è la carenza di personale adeguato, soprattutto da quando deve tener conto anche della natura. Già a partire da questo settore deve essere attiva, oltre la tutela, anche la valorizzazione culturale, che aiuti le persone a vedere l’evoluzione e la storia di un territorio, cogliendone le millenarie o secolari invarianti, da tutelare.
Nel secondo settore — quello del Patrimonio — dovrebbero operare sia architetti e archeologi — inclini ai contesti e agli edifici — sia storici dell’arte, delle arti applicate e della cultura materiale, versati negli oggetti mobili. Anche in questo settore si può distinguere tra tutela e valorizzazione purché s’intendano entrambe come gravitazioni d’interesse maggiori, di pari dignità e complementari (dopo aver privilegiato le direzioni di musei-monumenti-siti, andrebbe ridata forza alle povere soprintendenze).
Infatti la Tutela, oltre che salvare un monumento o un edificio dalle intemperie, deve rivelare il suo dinamismo interno, articolandolo in periodi, per il quale serve una preparazione «topografica» e «stratigrafica» nella quale non brilliamo.
È l’anatomia e lo sviluppo degli insediamenti che i musei delle città dovrebbero illustrare, esistenti solamente Oltralpe. D’altra parte l’Istituto centrale dell’Archeologia del ministero — acclamato agli esordi come pendant a quello del Restauro — non ha ancora fornito l’essenziale: i criteri da seguire nello scavo, nei grafici e nella edizione. Niente di peggio che soffocare le soprintendenze con una documentazione a casaccio, mancando le indicazioni di metodo. Lo scavo non è una praticaccia qualsiasi, da dare per scontata, ma alta chirurgia! Il restauro dei monumenti deve poi prevedere anche entrata, uscita, biglietteria, bookshop, percorsi e servizi — fondamentali le sale multimediali — onde riflettere il racconto del monumento nel tempo oggetto della valorizzazione culturale.
Scarsi sono in Italia i conoscitori delle arti applicate — a parte gli antiquari — la cui tutela è stata finora inadeguata, a causa dell’attenzione orientata soprattutto sui «capolavori» mobili, per cui le architetture sono state svuotate (come, a Roma, palazzo Sacchetti). Non è un caso che da noi siano rari i musei delle arti applicate — ah, l’invidiabile Victoria & Albert di Londra! — i quali presuppongono una cultura «tipologica», da noi arretrata. Ma un’architettura senza arredi è come una conchiglia la cui sostanza vitale è sfumata nell’eco. In palazzi e ville quasi mai s’intendono le funzioni delle stanze, ma viene sempre descritto il soggetto e l’autore dell’affresco sul soffitto: come se i visitatori fossero pipistrelli in pausa diurna… Luogo-architettura-arredi-arti-funzioni formano un’unità e le cose perdono di significato se sradicate dai loro dinamici sistemi. La nostra cultura estetica è soprattutto «collezionistica» — cioè antologica — per cui gli insiemi sono stati rimossi.
Vi è infine la valorizzazione economica, che pure è importante. Ma se limitiamo la valorizzazione culturale ai musei-monumenti-siti più famosi, la riduciamo a quanto è di massa e porta soldi, privilegiandolo rispetto a ciò che rende meno pur essendo significativo. Se la cultura è, non Mammona — cioè quantità — ma qualità scientifica — o delle regolarità della natura — e qualità storica e artistica — o della regolarità e della bizzarria umane — allora il ministero deve non privilegiare i prestigiosi fondali per selfie e gli adorati feticci, ma distogliere le orde dall’Ovvio per volgerle al Sorprendente: il tessuto dei centri medi e piccoli, dei loro agri e delle loro opere, così da giovare agli animi spersi dei visitatori, oltre il bisogno di agitarsi e apparire nel Clamoroso, troppo promosso. Nostro compito sarebbe spiegare al globo come è nata la civiltà occidentale…
Tutti oggi come, a suo tempo, l’itinerante Bernard Berenson (meno il commercio delle opere)? Dalla visione sono riscivolato nel sogno.
Definizioni
Sono definite «arti applicate» le forme d’arte impiegate nella progettazione e nella decorazione di oggetti per renderli esteticamente gradevoli, in opposizione alle cosiddette «belle arti» (pittura, scultura e architettura). Arti applicate sono dunque il disegno industriale, la grafica, il design. Tra i musei dedicati più noti: il Musée des Arts Décoratifs di Parigi, il Victoria & Albert di Londra, il Museo di Arti decorative al Castello Sforzesco di Milano e il Mak di Vienna. L’americano Bernard Berenson (1865 –1959), citato nel testo, fu un grande storico e critico dell’arte (in particolare del Rinascimento italiano)
24 ottobre 2023 (modifica il 24 ottobre 2023 | 20:21)