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Home » Comuni, addio tetti di spesa: dallo sblocca stipendi aumenti fino a 300 euro al mese
Notizie Locali

Comuni, addio tetti di spesa: dallo sblocca stipendi aumenti fino a 300 euro al mese

Sala NotizieBy Sala Notizie18 Aprile 20253 Mins Read
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Le buste paga di Comuni, Città metropolitane, Province e Regioni mandano tanti saluti ai tetti di spesa e ai vincoli in decimali che le hanno imbrigliate fin qui. Ora lo spazio potenziale si allarga parecchio: a patto che i conti locali reggano.

La spinta

Quello preparato alla Ragioneria generale dopo un intenso lavoro tecnico è un cambio di rotta delle regole per la spesa di personale negli enti territoriali, e offre una risposta superiore a mote aspettative all’impegno del ministro per la Pa Paolo Zangrillo di sbloccare gli stipendi locali per ridurre lo spread retributivo rispetto alle Pa centrali. Per capirne gli effetti serve però qualche avvertenza: la strada aperta alle buste paga territoriali è lunga, ma il tratto che potrà essere percorso in concreto dipende dalle condizioni di bilancio di ogni ente, in uno scenario che aumenterà la pressione su una spesa corrente già affannata dall’assenza di margini sulle entrate.

La traduzione in cifre

La norma, anticipata ieri da Nt+Enti locali & Edilizia (ntplusentilocaliedilizia.ilsole24ore.com) e inserita nel decreto legge sulla Pa ora atteso nell’Aula della Camera da martedì, non è di immediata lettura. Ma il suo valore potenziale giustifica qualche piccolo sforzo. Da quest’anno ogni ente potrà far salire la componente stabile del fondo delle risorse decentrale, quello che finanzia le voci della busta paga in aggiunta allo stipendio tabellare, e le somme che pagano gli incarichi aggiuntivi (le «posizioni organizzative») fino al 48% della spesa complessiva sostenuta per gli stipendi tabellari delle «aree professionali» (cioè il personale non dirigente) nel 2023. Molto più evidente la sua traduzione in cifre: dal momento che nella media attuale l’incidenza di queste voci è intorno al 22-23%, salire fino al 48% farebbe crescere di 1,5 miliardi le retribuzioni del personale non dirigente dei Comuni e di 300 milioni quelle dei loro colleghi negli altri enti territoriali, con l’eccezione delle Unioni di Comuni che restano escluse dalla norma (ma si vedono riconosciuta da un altro emendamento la possibilità di stabilizzare i precari con almeno tre anni di anzianità). I dipendenti dei Comuni senza le stellette dirigenziali sono 382mila, quindi una divisione pro capite produrrebbe un aumento medio di 3.926 euro lordi all’anno, 302 euro per 13 mensilità, con un balzo dell’8,8% della massa salariale complessiva.

Sono numeri imponenti, che ovviamente hanno acceso il semaforo verde degli enti locali nella Conferenza Unificata di ieri mentre le Regioni lamentano in particolare l’esclusione della sanità dal raggio d’azione della norma. Ora però toccherà ai singoli enti fare i conti e gestire la probabile pressione sindacale sull’applicazione della novità. Un Comune che nel 2023 ha speso un milione di euro per i tabellari potrà far salire fino a 480mila euro all’anno la somma di componente stabile del fondo decentrato e risorse per le posizioni organizzative.

I vincoli che rimangono

Per farlo dovrà però rispettare due condizioni: rispettare le griglie che misurano gli spazi per le assunzioni in base al rapporto fra le entrate correnti stabili e la spesa di personale, e non mettere a rischio la certificazione dai revisori dei conti sul mantenimento dell’equilibrio di bilancio pluriennale. Qui si appuntano le critiche della Cgil Fp, che parla di «soluzione spot» che con gli aumenti riduce gli spazi per nuove assunzioni. Gli enti in affanno sul piano finanziario, saranno comunque in fuorigioco.

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