Sarà l’Università di Bologna a guidare un team europeo di 16 tra atenei, think-tank e associazioni di 12 Paesi, che da oggi inizierà a lavorare su “Respond”, progetto comunitario finanziato con 5,5 milioni di euro da Horizon Europe (il programma Ue dedicato a ricerca e innovazione) che nei prossimi cinque anni cercherà di capire e misurare come funziona la corruzione politica nelle società digitali, ossia come le tecnologie e i media digitali stanno influenzando – e minacciando – i processi decisionali politici e i meccanismi democratici.

Come funziona la democrazia nelle società digitali

Il nome analogo al precedente progetto Horizon (chiuso lo scorso novembre) dedicato agli effetti psicologici della pandemia Covid-19 non deve tranne in inganno: Respond in questo caso sta per “Rescuing democracy from political corruption in digital societies”, ossia “Salvare la democrazia dalla corruzione politica nelle società digitali”. L’obiettivo è raccogliere da tutti i media, sia tradizionali sia online, e dai social, dati relativi ai comportamenti che possono portare a corruzione politica, ma che non sono necessariamente illegali. Si tratta di cinque aree “grigie” di indagine: lobby, finanziamenti alla politica, porte girevoli, connessioni personali, pressioni su media. Poi si analizzerà se e come queste pratiche di influenza impattano sui 27 Paesi Ue e su 11 nazioni limitrofe (tra cui Ucraina, Serbia e Gran Bretagna), ad esempio traducendosi in norme ad personam.

Dai meccanismi illeciti all’educazione civile

«Non vogliamo solo fare ricerca fine se stessa, con il rischio che le evidenze aumentino la sfiducia nella democrazia, ma mettere a punto strumenti di reazione e di educazione. Sarà soprattutto su questa terza fase del progetto che ci focalizzeremo come Università di Bologna, oltre al lavoro di coordinamento di tutto il consorzio», spiega Alice Mattoni, docente del dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Alma Mater e coordinatrice scientifica del progetto, durante l’evento di kick-off del progetto, ieri sotto le Due Torri, assieme a tutti i partner (tra cui l’Università di Göteborg, Sciences Po Paris, il King’s College di Londra, l’Università di Amsterdam, quella di Duisburg-Essen, l’Istituto di Scienze sociali dell’Università di Lisbona, le Ong Libera e S-Com). «La piattaforma in cui caricheremo i dati sarà open, accessibile a tutti – precisa – e alla luce dei risultati avvieremo percorsi di training agli attori della società civile e ai giornalisti, per stimolare comportamenti reattivi. Il fine ultimo è salvaguardare le nostre democrazie, che in quanto tali sono sempre in mutamento e per tenerle vive occorre riattivare gli anticorpi che le facciano funzionare».

Il progetto antesignano bolognese: Bit-Act

Respond rappresenta la prosecuzione ideale di un precedente studio che l’Università di Bologna sta completando in solitaria, sempre sotto la guida della professoressa Mattoni: Bit-Act (2019-2024), finanziato dall’European Research Council, all’interno di Horizon 2020, che si è concentrato su nove Paesi del mondo per analizzare come le organizzazioni sviluppano e utilizzano tecnologie e media digitali per contrastare la corruzione. «Abbiamo appena pubblicato i primi risultati di Bit-Act (disponibile gratuitamente online), da cui emerge come le nuove tecnologie digitali e i social permettano a cittadini e organizzazioni di coordinarsi attivamente e facilmente per affrontare la corruzione – anticipa Mattoni – ma la sostenibilità nel tempo di queste iniziative è bassissima. Sono nate moltissime iniziative ovunque nel mondo, hanno forte visibilità all’inizio ma il potenziale scema in fretta, non durano. Come la piattaforma in India per permettere ai cittadini di segnalare il pagamento di una tangente o l’algoritmo che in Brasile individua spese poco chiare fatte dai parlamentari».

Tanta corruzione, poca ricerca

Con Respond l’Alma Mater ha messo insieme per la prima volta un consorzio transeuropeo per impostare un lavoro molto più complesso di Bit-Act, che durerà fino al 2029, suddiviso in quattro filoni: generare nuovi dati e conoscenze sulla corruzione politica con la creazione di indicatori di rischio; esplorare il ruolo delle tecnologie digitali, dei social e dell’AI nel perpetuare la corruzione politica associata a queste forme di influenza; valutare attraverso sondaggi e analisi di singoli casi il ruolo dei social media; studiare, co-sviluppare e sperimentare strumenti e metodi per affrontare la corruzione politica e aumentare la fiducia nella governance democratica, fornendo dati utili anche per nuove leggi. «Nonostante la proliferazione degli scandali in tutta Europa, la ricerca sulle forme della corruzione politica nelle società contemporanee, fortemente digitalizzate, è sorprendentemente limitata: sono ancora pochi gli studi che analizzano come forme legittime di influenza politica possano trasformarsi gradualmente in casi di influenza indebita – spiega Mattoni -. Questa mancanza di analisi è un ostacolo che impedisce valutazioni equilibrate in fase di elaborazione e attuazione delle politiche e mina, in ultima istanza, la fiducia nei governi democratici».

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