Nel marzo 2023 Federorafi aveva lanciato, sulle pagine del Sole 24 Ore, un allarme relativo allo scarso turnover di professionisti stimando che, da lì a cinque anni, il settore avrebbe avuto bisogno di circa tremila nuovi giovani da inserire nel settore, pari a circa il 10% della forza lavoro totale, per sostituire i pensionati e i pensionandi. Nel corso dell’ultimo anno qualcosa è cambiato: in un contesto di generale rallentamento del lusso, che fa immaginare un rallentamento della produzione, l’occupazione del settore è aumentata di 936 unità nel corso del 2023. Anno che, per le aziende orafe italiane, è andato comunque bene: l’industria ha registrato ricavi poco sotto i 12 miliardi di euro, in salita del 10,2 per cento.

La ricerca dei talenti da parte delle aziende, dunque, non è certo in stand by. E nemmeno semplice: gli artigiani orafi che lavoreranno nel settore dovranno rispondere a una doppia esigenza delle aziende: da un lato avere professionisti di alto livello in grado di apprendere tecniche tradizionali complesse – come il Serti Mystérieux di Van Cleef&Arpels, addirittura brevettata negli anni Trenta (si veda il pezzo a fianco) – garantendo continuità, dall’altro essere perfettamente calati in un mondo in cui la tecnologia non solo è una componente fondamentale dell’industria orafa, benché questa rimanga di fatto artigianale, ma si evolve molto rapidamente.

La richiesta di professionisti che sappiano lavorare lungo questo doppio binario è spesso demandata alle scuole che si occupano di formazione altamente specializzata. Che sono cresciute anche sotto la spinta di questa domanda: «La vera svolta è arrivata con i grandi brand e i fondi d’investimento– ha raccontato Luca Solari, direttore della Scuola Orafa Ambrosiana, nata nel 1995 e oggi presente a Milano con tre sedi – perché la loro grande disponibilità economica ha permesso ai marchi di crescere aprendo nuovi punti vendita in tutto il mondo. Da qui la necessità di aumentare la produzione cercando nuovi artigiani specializzati». La Soa, che ha da poco aperto un laboratorio dove si sperimenta la formazione più “innovativa”, lavora in partnership con le aziende: «Noi proponiamo un servizio su misura di formazione portando il loro Dna nella scuola attraverso i docenti che arrivano direttamente dai brand. Un esempio è il progetto con Buccellati». Con la maison fiorentina, infatti, la Soa ha progettato (e poi lanciato) il primo master dedicato a 12 studenti con 10 corsi – tra cui tre master class: incastonatura a microscopio; incisione; sbalzo e cesello – e 90 ore di esercitazione. Secondo Solari l’evoluzione delle scuole e, in generale, della formazione degli orafi ha reso più appetibile questa professione, cambiando il bacino degli iscritti: «Ci sono molti ragazzi giovani, anche stranieri, loro sono i primi a portare nel lavoro quotidiano l’ interesse per l’innovazione e anche quello per la sostenibilità che per le giovani generazioni è uno stile di vita».

Anche l’Accademia delle arti orafe di Roma, fondata nel 1983, raccoglie una quota importante (30-40%) di studenti che arrivano dall’estero. Neofiti o professionisti alla ricerca di una formazione altamente specializzata e all’insegna dell’innovazione: «I nostri percorsi sono pensati per formare da zero professionisti che saranno in grado di lavorare in tutte le principali aziende di gioielli – spiega Alessandro Gerardi, co-direttore dell’Accademia -ma anche per upskilling di professionisti con esperienza». Il connubio tra tradizione e innovazione è un pilastro dell’offerta formativa: «Abbiamo da poco inaugurato una scuola di incastonatura, la Gerardi Setting School, dove utilizziamo un metodo innovativo che impiega le più recenti tecnologie disponibili. Nel settore  c’è sempre più competizione e per batterla bisogna puntare all’eccellenza».

Le aziende stesse sono entrate in gioco direttamente nella formazione aprendo le proprie Academy interne. Gli esempi sono molti: a Valenza Po formano i propri addetti sia l’Academy di Damiani sia quella di Bulgari che ne aprirà una, focalizzata sull’alta gioielleria, anche a Roma. Proprio in occasione della presentazione del progetto di restauro delle statue del Vittoriano, nel febbraio scorso, Jean Christophe Babin, ceo della maison Bulgari, aveva dichiarato che per questo mestiere «esistono delle scuole ma è chiaro che sono insufficienti per provvedere alla manodopera qualificata che questa industria richiede». Così non stupisce che da Cartier (a Torino, dove è sorto il nuovo stabilimento) a Pomellato (a Milano, con Galdus) fino a Marco Bicego (in provincia di Vicenza) continuino a nascere piccole scuole interne per plasmare i futuri addetti dell’industria orafa internazionale. Magari, appunto, con la consulenza delle scuol

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